Un momento di gioia
Oh ragazzi ma cosa avete capito? Sono sempre la stessa, non fumo e non mi piace alcun tipo di combustione. Oggi, infatti, voglio raccontarvi delle potenzialità sorprendenti di una coltivazione ingiustamente demonizzata: la Canapa. Usata come fibra a lungo, oggi viene ancora ignorantemente associata solo alla cannabis delle canne e delle droghe leggere in modo univoco e limitante. Errore. Questa pianta ha poteri incredibili, purifica i terreni inquinati e potrebbe diventare un’occasione di riconversione di quei campi contaminati di diossine e metalli pesanti, della Masseria Carmine, alle pendici dell’Italsider prima, dell’Ilva poi, di Taranto. Un giorno, magari, qualcuno racconterà la saga di questa famiglia, i Fornaro, capaci di attraversare tutti i sentimenti della vita, il dolore, la rabbia, il sogno, la speranza, l’ottimismo. E capaci di farlo conquistando il primo raccolto della canapa di fine settembre. Certo, ora tocca ai ricercatori studiare le reazioni dell’esposizione agli inquinanti. Nel frattempo, in queste terre si continua a credere tenacemente di poter avere un futuro diverso e di volerlo avere in una terra alla quale sono radicati come se ci fosse un invisibile cordone ombelicale.
Siamo in attesa, e Vincenzo e famiglia lo hanno promesso. Se sarà possibile, lanceranno “Orecchiette e Cime di Canapa”. Ed aggiungiamoci pure tarallucci, vino e buon olio d’oliva e siamo apposto!
Uliveti
Io, in uno scatto del generoso Pasquale Reo nel giorno del raccolto
Il raccolto del 20 settembre 2014, nel mio pezzo pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia il 21 settembre
Lo stesso cielo di aprile, quando quel ferro di cavallo del piede anteriore portò fortuna e pioggia, facendo attecchire la semina, ha salutato l’atteso giorno della trebbiatura di fine estate. Ieri mattina, nei terreni della Masseria Carmine della Famiglia Fornaro, lungo la via della Transumanza, a Paolo VI, il primo raccolto della canapa è stato vissuto come un grande evento simbolico di rinascita, ripartenza, ottimismo. Un raccolto, con il cuore, con le mani e con la trebbiatrice, delle piante cresciute tra la primavera e l’estate. Circa un chilo, è già in viaggio verso i laboratori di Rutigliano, del Cra, Consiglio di ricerca per la sperimentazione in agricoltura, dove tutte le parti della pianta, radice, foglie, fiori e semi, terminato il campionamento del terreno pre-semina, dopo l’esposizione nei terreni contaminati, alle pendici dell’Ilva, saranno analizzate nei minimi particolari. Stiamo raccontando di quei territori dove ormai c’è il divieto di pascolo e coltivazione e dove un tempo pascolavano le pecore, abbattute dopo la scoperta delle tracce di inquinanti e diossine.
Amici nel giorno del raccolto
In mezzo al campo. Non vi dico cosa è successo alla mia gonna. Pare anticamente potesse essere un modo semplice di raccolta (scherzo…non troppo!)
La strage di quegli agnelli ha segnato fasi cruciali dei tempi recenti, iniziando con l’incidente probatorio e finendo con l’inizio del processo contro l’acciaieria. Ed allo stesso tempo ha rappresentato un punto di non ritorno e di riconversione economica di una famiglia di ex allevatori di 4 generazioni ed un centinaio d’anni, diventata suo malgrado il simbolo della reazione ai danni dei disastri ambientali. Il patriarca, Angelo Fornaro, 70 anni, chiamato Don Angelo, non lascerà mai questa terra, alla quale un tempo era collegata la vecchia azienda “Zitarella” di suo padre, espropriata quando fu costruito l’Italsider. Oggi, insieme ai suoi figli, vive emozioni contrastanti, cercando di far prevalere la fiducia: «Una giornata nuova, con una speranza nuova, dopo tanti guai passati. Un giorno diverso. Auguriamoci sia un’apertura al futuro, soprattutto dei miei nipotini. La malinconia c’è sempre. Non si possono dimenticare tutti i sacrifici di anni, bruciati in pochi secondi. La canapa potrebbe indicarci una strada utile ed un poco di serenità, smuovere le cose». Erano accorsi amici, parenti, interessati al progetto di ricerca. Macchine fotografiche, smartphone e tablet erano puntati sulla trebbiatura, e perfino un drone documentava dall’alto.
drone in azione
Drone in pausa
In corso, c’è adesso un vero e proprio esperimento scientifico, perché solo i test potranno far decidere in quale direzione andare, nei prossimi 4 o 5 anni di sperimentazione, a fini di fitorimedio disinquinante e bonifica di metalli pesanti. Tra sogno ardito, utopia e speranza nel cassetto, Vincenzo Fornaro non perdeva il sorriso, trovando il tempo di fare una battuta: «Adesso, la stocchiamo e, quando avremo il via libera, vedremo. Un giorno, cucineremo orecchiette con le cime di canapa!».
Drone sopra la mietitrebbia
Destinazione Rutigliano, dove si trova il laboratorio del Cra, Consiglio di ricerca per la sperimentazione in agricoltura. I risultati dovrebbero arrivare entro 20 giorni. In sostanza, bisogna capire se, nel canapulo di un campione di circa un kg del totale della canapa raccolta, finisce l’inquinante o no, e scegliere se percorrere la strada del tessile, al momento prioritaria, o della bioedilizia, dei biocarburanti e, infine, nella più rosea delle prospettive, della produzione a scopi alimentari. Le anime di questo primo progetto scientifico, denominato “C.a.n.a.p.a.” (Coltiviamo azioni per nutrire, abitare, pulire l’aria) sono, insieme alla Masseria Carmine della Famiglia Fornaro, Canapuglia, Abap (Associazione biologi e ambientalisti pugliesi) e consulenti di settore. Stavolta, sono stati 3 ettari, l’anno prossimo si punta ai 30 ettari totali, se possibile. E molti agricoltori con gli stessi problemi di inquinamento vorrebbero ripetere l’esperimento. «Abbiamo seminato la speranza, oggi la raccogliamo. Abbiamo inteso lanciare un segnale forte alle istituzioni – afferma Vincenzo Fornaro – e vogliamo realizzare i fatti senza l’aiuto di nessuno. Ci copiano addirittura i progetti e ci fa piacere. La Regione Puglia ad esempio è andata a seminare a Brindisi, vicino la Centrale di Cerano, a maggio, consumando parecchia d’acqua, nel mese sbagliato di semina ed ottenendo piante alte la metà delle nostre». Le piante di canapa della Masseria Carmine sono cresciute in modo difforme, a causa di inquinamento e periodi di siccità. Tuttavia, il risultato appare soddisfacente: «La coltivazione è avvenuta nel modo più naturale possibile, senz’acqua, senza concimazione. La pianta è auto-disinfestante ed è miglioratrice del terreno. Un’ottima coltura di rotazione. Se potessimo ritornare a coltivare il grano, il raccolto aumenterebbe del 20, 30%. E se il seme della canapa dovesse risultare non contaminato, come l’ulivo, potremmo utilizzarlo. Eppure, oggi, se noi togliamo inquinanti, e l’industria inquina, possiamo bonificare poco». Al campionamento della coltura è particolarmente interessato Marcello Colao, ingegnere di Abap e Canapuglia: «Cercheremo di capire se nel primo anno sperimentale ci sono stati i primi risultati. I processi naturali richiedono tempi biologici e la sperimentazione deve essere spalmata nei 4, 5 anni. Però, vuole essere un segnale forte di cambiamento, una rivoluzione dolce dal basso. C’è stato molto interesse e curiosità e pochi attacchi legati al dubbio. Quando si vuole, è possibile fare le cose. Speriamo nell’etica di fondo».
Marcello Colao
Vladimiro Santi Spanna, coinvolto nello stesso Progetto “C.a.n.a.p.a”, confidava l’auspicio di ottenere un riconoscimento ed i certificati verdi, rendendo i territori redditizi. E Claudio Natile, fondatore e presidente di CanaPuglia, ha illustrato le caratteristiche della pianta, non iperaccumulatrice, e rimediatrice: «Nel fiore, ci sono 600 sostanze, solo 80 dei cannabinoidi, poi terpeni, terpenoidi, flavonoidi. Dobbiamo scoprirla ancora. Nessuno ha mai fatto ricerca, era stata proibita e relegata in pochi studi di freelance. Dobbiamo capire qual è il suo potenziale, nel primo anno di coltivazione ai fini di bonifica. E verificare se sarà un rimedio ed un reddito. Abbiamo stimolato la Terra dei Fuochi, il bresciano ed altri territori inquinanti. Diversi dottorandi e studenti vorrebbero collaborare». Alla possibile filiera commerciale si legherebbe, dunque, un fronte di ricerca a livelli universitari ed innovazione, oggi senza appoggi a Taranto, domani, chissà.
Da sinistra, Vladimiro Santi Spanna, Claudio Natile, ed io mentre cercavo di capire le centinaia di essenze di questa pianta tutta da scoprire.
Un passo indietro al momento della semina, del 5 aprile scorso, ed ai miei pezzi dell’edizione del 6 aprile 2014 (dopo aver partecipato al camp dell’Officina delle Idee, a marzo, non si sono arresi)
La cornamusa di Shambhu eseguiva “L’Inno dei Mohicani” ed improvvisazioni sulla rinascita, quando ha iniziato a piovere provvidenzialmente. Il ferro di cavallo, trovato nei campi, era stato un buon segno: «Porta fortuna, se è del piede anteriore – raccontava Angelo Fornaro, 70 anni, forte e commuovente attaccamento alla terra, della sua famiglia da 4 generazioni e 100 anni – i bambini devono vedere, provare le gioie. Dopo aver conosciuto i dolori dell’abbattimento delle pecore». Laddove un tempo si coltivavano grano, foraggio, avena, patate, pomodori, ortaggi, si tenta la via della canapa, ennesima virata dovuta al Siderurgico: «Mio padre Vincenzo, a 68 anni, morì di crepacuore quando l’Italsider espropriò la sua la azienda “Zitarella”, vicino alle colline frangivento, 110 ettari. Dopo la distruzione, di Ilva e politici, dobbiamo ripartire ed essere fiduciosi». Ha perso sua moglie Rosa di tumore al seno. Un figlio ha avuto un problema ad un rene. E si impone di resistere, con dignità: «Morirò qui. Non abbandonerò questa terra, fino all’ultimo, con i miei figli, Maria, Vittorio, Vincenzo, Rosanna, ed i miei nipoti».
Angelo Fornaro il patriarca
Entusiasmo incontenibile di Vincenzo Fornaro
Nel frattempo, si può contare sull’uliveto, resistente ai contaminanti. Sognando di trasformare il maneggio in un’associazione.
Una coltivazione di speranza, una ripartenza della storica Masseria Carmine, nella via della Transumanza dell’attuale campagna di Paolo VI, una rinascita di un orizzonte di sogni, prospettive di cambiamento e nuovo futuro, una resistenza operosa e costruttiva. Il sorriso, ieri mattina, è tornato nei volti della famiglia Fornaro, quando è iniziata la prima semina di canapa, a scopi scientifici, fitorimedianti, disinquinanti. Alcuni semi sono stati lanciati ritualmente. Ed uno alla volta i due trattori agricoli hanno continuato ad arare con la seminatrice pneumatica. La pioggia provvidenziale farà attecchire il seme. Vincenzo Fornaro, con il padre ed i fratelli, era un allevatore. L’inquinamento ha stoppato l’attività di 4 generazioni, con la strage degli agnelli contaminati di diossina. Ora, si confida sull’udienza preliminare di giugno e la possibilità di risarcimento nel processo contro l’Ilva: «É il momento di rinascere – dichiarava, ottimista – speriamo la canapa possa disinquinare “il cervello” dei tarantini. L’industria è un modello di sviluppo superato, bisogna tornare alla terra. Contiamo di creare l’indotto, tanti posti di lavoro, una svolta, un’alternativa. L’Ilva è il passato e non può coesistere con la città». Si reagisce, non si molla e si vuole vivere, con condotta esemplare, iniziando con 3 ettari. La fase di studio e ricerca scientifica si avvia in questa masseria, “simbolo” dell’incidente probatorio e dell’inchiesta della Magistratura, in collaborazione con il Cra, Consiglio di ricerca per la sperimentazione in agricoltura: «Il progetto sperimentale durerà 3, 5 anni, sulla canapa come fitorimedio – spiegava Claudio Natile, di Canapuglia – un test fu fatto a Chernobyl. La letteratura scientifica ha approfondito il suo impiego in fitorimediazione e bonifica di metalli pesanti, diossine ed altre sostanze. Dopo il campionamento pre-semina, saranno fatte le analisi ed un altro campionamento post-raccolta». Trebbiatura e raccolto saranno vissuti con entusiasmo entro fine estate. E, solo dopo aver studiato eventuali effetti di inquinanti sul canapulo, sarà possibile ipotizzare quale filiera sviluppare, nel tessile, in bioedilizia o altri campi. «Verranno fatte analisi su terra, radice, foglie, fiori, semi – ribadiva Marcello Colao, ingegnere di Abap e Canapuglia – si tratta del primo esperimento ufficiale. Il Cnr aveva studiato la bonifica con la canapa, adatta ad abbattere cadmio, cesio, nichel, cromo». In linea con le norme europee, la canapa selezionata può essere ammessa solo con un irrisorio ed ininfluente 0,2% di THC, tetraidrocannabinolo, principio attivo della cannabis.
Piantagione di Canapa
Le caratteristiche della varietà italiana, in gergo dioica, la Carmagnola, renderebbero invece ancora difficili le coltivazioni. «In questa fase sperimentale – illustrava Bruno Franzone, consulente dell’Agricola Service – si usa il seme francese, varietà monoica “Futura 75”. Quindici giorni è durata la lavorazione prima della semina. C’è stata un’aratura in tre fasi, con dischi, ripuntatore, fresatura. Tra 120 giorni, ci saranno le prime piante. Monitoreremo tre momenti fino al raccolto. L’Assocanapa mette insieme le aziende e punta al seme di provenienza certificata. La filiera potrebbe occuparsi del tiglio, fibra tessile con scopi industriali».
La Masseria Carmine
Un ragazzo, vicino ai cavalli mi disse “Io non guardo mai verso l’inferno”