Aia Ilva, dubbi sulla prescrizione n° 5. Lo conferma una fonte

Copertura Nastri Ilva, segnalazione

Una fonte vicina a chi lavora in fabbrica conferma le segnalazioni di Peacelink ed Impatto Zero sulla prescrizione n° 5 dell’Aia: “L’Ilva fa finta di eseguire le coperture dei nastri trasportatori”.

Il monitoraggio continuo delle eco sentinelle spinge addetti ai lavori a documentare le presunte prove della mancata attuazione di una prescrizione dell’Aia all’Ilva.

A quanto pare, si tratterebbe della numero 5, già menzionata nelle segnalazioni al garante dell’Aia, Vitaliano Esposito, di associazioni come Impatto Zero o Peacelink. O, ancora, nella lista fornita il 20 maggio scorso da Peacelink al Ministero dell’Ambiente. E, per certi versi, oggetto di attenzioni in dichiarazioni alla stampa di questi giorni.

Una rete di esperti, onesti, si metterebbe, è il caso di dire, una mano sulla coscienza, fornendo una fotografia, una descrizione, un commento.

E chiedendo, in cambio, il rispetto dell’anonimato.

L’immagine fotografa la copertura dei nastri trasportatori, con una riflessione, in stampatello:

NON E’ UNA MOSTRA DI ARTE POVERA MA UN ESEMPIO DI COME L’ILVA STA FACENDO FINTA DI ESEGUIRE LE COPERTURE DEI NASTRI TRASPORTATORI NELLO STABILIMENTO DI TARANTO COL BENEPLACITO DI CHI E’ PREPOSTO AL CONTROLLO DEGLI INTERVENTI PRESCRITTI DALL’AIA:

COPERTURA MOLTO SPARTANA, SUPERECONOMICA E AD ELEVATO TASSO INFORTUNISTICO SOPRA;

TUTTO APERTO SOTTO IN MODO CHE LE POLVERI POSSANO ESSERE DISTRIBUITE DAL VENTO LIBERAMENTE NELL’AMBIENTE.

«Tra quanto prescritto e quanto attuato – precisa l’autore della segnalazione – non c’è nessun nesso tecnico, per non parlare dell’enorme sproporzione economica dell’investimento (almeno 1/1000). Eppure, nella Relazione di aggiornamento dello stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali dell’Aprile 2013 risulta che “La prescrizione è attuata come ribadito con nota DIR 121 del 19.04.2013″».

La prescrizione numero 5 scadeva il 27 gennaio 2013 e si legge la parola “attuata”, fin dalla prima relazione.

Questo, era il testo ufficiale, inserito nell’Aia: “Si prescrive all’Azienda, con riferimento alle emissioni di polveri derivanti dalla movimentazione di materiali che siano trasportati via mare, l’adeguamento a quanto previsto dalla BAT n. 11, con l’utilizzo di sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti, entro 3 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame dell’AIA”.

Risultava attuata in questo modo: “Le attività sono concluse, avendo impiegato sugli scaricatori le modifiche alla logica di funzionamento in rispetto delle prescrizioni tecniche rilasciate dalla ditta Phoenix. Tale modifica impedisce di fatto ogni discrezionalità nelle operazioni di sbarco dei materiali alla rinfusa, inibendo il comando di apertura benna allorquando questa risulta piena di materiale ed è in transito dalla nave alla tramoggia di scarico. Inoltre, l’effetto del pendolamento viene inibito sempre attraverso modifiche di consensi di marcia appositamente riprogettati. La stessa società Phoenix ha provveduto alla ispezione del sistema implementato ed ha redatto opportuno rapporto in data 24.01.2013. Da tale verifica risulta correttamente implementato il sistema prescritto dalla Phoenix”.

Segnalazioni delle associazioni:

Isprambiente 

http://www.peacelink.it/ecologia/a/38403.html

DelfiniErranti 

In un passaggio delle sue osservazioni, ad esempio, Raffaella Cavalchini, di Impatto Zero, rilevava: «Per capire come si risolve il problema della polverosità degli scaricatori di banchina, basta andare a vedere quello che sta realizzando l’ENEL di Brindisi, a 70 Km da Taranto, per la discarica del carbone con nuovi scaricatori continui a catena di tazze completamente chiusi e depolverati. Oppure si vada a vedere gli scaricatori di banchina realizzati nel porto di Savona decine di anni fa».

Si segnala al Garante dell’Aia, per conoscenza, il contenuto dell’articolo.

SblocNotes ed Inchiostro Verde.

La Corte Costituzionale fa superare l’esame alla legge “Salva Ilva” (Sicuri?) e “blocca” la legificazione dell’Aia

Mar Piccolo, Vista Ilva, 8 maggio 2013

Mar Piccolo, Vista Ilva, 8 maggio 2013

Nel labirinto della sentenza numero 85 della Consulta della Corte Costituzionale, sicuramente ti puoi perdere. Proviamo a trovare la strada insieme. E, magari, potremmo scoprire qualche chiave interpretativa dei giudici della Corte Costituzionale, sulla quale riaccendere la speranza di chi urla “Noi vogliamo vivere”. Un indizio: l’Aia rilasciata all’Ilva c’entra e come in questo ragionamento virtuale, e capirete perché, tra qualche rigo. Metà sentenza – più o meno le prime venti pagine – ripropone semplicemente le arringhe dell’udienza pubblica del 9 aprile 2013. Da un certo punto in poi, nella seconda metà, grosso modo nelle circa 25 pagine successive, la Corte inizia a dire e non dire delle cose. Questioni di rilevanza e fondamento di pezzi di legge, relativamente a pezzi di Costituzione Italiana, viaggiano sull’orlo del burrone, senza cascare nel vuoto, e restano in bilico in un magma di cavilli. Dopo aver capito su cosa era rilevante esprimersi, i giudici della Corte lo hanno fatto. Eppure, si ha la sensazione di ritrovare nelle loro argomentazioni il grosso delle posizioni pro Governo/Ilva, ma anche altro…. La Corte dice: «Giova precisare l’effettiva portata dell’intervento normativo compiuto, mediante la norma censurata, in ordine alla crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, volto a rendere compatibili la tutela dell’ambiente e della salute con il mantenimento dei livelli di occupazione, anche in presenza di provvedimenti di sequestro giudiziario degli impianti». E tradisce, secondo me, una preferenza, quando, parlando di Aia, precisa una delle implicazioni: «vi sia assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione». Ricordatevi questo aggettivo. Poi, capirete perché dovete ricordarvelo.

Dunque, nelle sue motivazioni, mischiate tra una memoria delle parti e l’altra, la Corte sembra sgombrare il campo da concetti di impunità dell’Ilva e nega la possibilità di poter incidere in alcun modo sulle indagini della Magistratura facendo riferimento alla famigerata legge. E ci prepara alla sorpresa: «In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, l’autorità competente procede, secondo la gravità delle infrazioni: a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per l’ambiente; c) alla revoca dell’AIA e alla chiusura dell’impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni, che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente». Nel suo dire e non dire, la Corte spiega si riferisce al bilanciamento tra diritti costituzionali: «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri (eppure, quando si parlava di occupazione e produzione questo aggettivo andava bene….mie note di commento). La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo fondamentale, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un carattere preminente del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute come valori primari (sentenza n. 365 del 1993, citata dal rimettente) implica una “rigida” gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Con un poco di zucchero la pillola va giù, diceva Mary Poppins, ed arriva il regalo rivolto agli attivisti ed ai tarantini danneggiati: «In definitiva, i cittadini non sono privati del diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive, con relative domande risarcitorie, di cui agli artt. 24 e 113 Cost». Tante grazie di cuore….

Scavando scavando…si smonta un altro luogo comune. I magistrati di Taranto la sanno lunga….ma non possono oltrepassare i limiti: «È appena il caso di aggiungere che non rientra nelle attribuzioni del giudice una sorta di “riesame del riesame” circa il merito dell’AIA, sul presupposto – come sembra emergere dalle considerazioni del rimettente, di cui si dirà più avanti, prendendo in esame le norme relative allo stabilimento Ilva di Taranto – che le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti e sicuramente inefficaci nel futuro. In altre parole, le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda, attribuendo in partenza una qualificazione negativa alle condizioni poste per l’esercizio dell’attività stessa, e neppure ancora verificate nella loro concreta efficacia». Emergenza Ambientale ed Occupazionale fanno passare in secondo piano, secondo la Corte Costituzionale, alcune omissioni: «La giurisprudenza della Corte EDU ha costantemente affermato che “il principio dello stato di diritto e la nozione di giusto processo custoditi nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti ragioni di interesse pubblico, l’interferenza dell’assemblea legislativa nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia” (Corte EDU, sez. II, sentenza 14 dicembre 2012, Arras contro Italia, in conformità alla giurisprudenza precedente). Dal canto suo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha costantemente affermato che contro tutti gli atti, anche aventi natura legislativa, “gli Stati devono prevedere la possibilità di accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o ad altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge” (sentenza 16 febbraio 2012, in causa C-182/10, Solvay et al. vs. Région wallone, in conformità alla giurisprudenza precedente). 12.2.– Con riferimento all’individuazione diretta dell’impianto siderurgico della società Ilva di Taranto come “stabilimento di interesse strategico nazionale”, si deve osservare che a Taranto si è verificata una situazione grave ed eccezionale, che ha indotto il legislatore ad omettere, per ragioni di urgenza, il passaggio attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della qualificazione di cui sopra. Sia la normativa generale che quella particolare si muovono quindi nell’ambito di una situazione di emergenza ambientale, dato il pregiudizio recato all’ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante, e di emergenza occupazionale, considerato che l’eventuale chiusura dell’Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone (tanto più numerose comprendendo il cosiddetto indotto)». E veniamo, ora, alla buona notizia, l’ago nel pagliaio di questa sentenza: l’Aia non è una legge, non ha forza di legge, non è blindata e resta un atto amministrativo. Quindi, se non viene applicata, può essere pure revocata. Chiaro? Inteso? «Non ha neppure fondamento l’affermazione, dello stesso rimettente, che vi sia stata una “legificazione” dell’AIA riesaminata, con la conseguenza che contro tale atto amministrativo, nel caso specifico dell’Ilva di Taranto, non sarebbero esperibili i normali rimedi giurisdizionali. È vero, al contrario, che l’AIA è pur sempre – come statuito in via generale dall’art. 1, non contraddetto dall’art. 3 – un presupposto per l’applicabilità dello speciale regime giuridico, che consente la continuazione dell’attività produttiva alle condizioni ivi previste. In quanto presupposto, essa rimane esterna all’atto legislativo, con tutte le conseguenze, in termini di controllo di legalità, da ciò derivanti. Il comma 2 dell’art. 3 richiama l’AIA del 26 ottobre 2012 allo scopo di ribadire lo stretto condizionamento della prosecuzione dell’attività all’osservanza delle nuove prescrizioni poste a tutela dell’ambiente e della salute, ferma restando naturalmente la natura dinamica del provvedimento, che può essere successivamente modificato e integrato, con relativa possibilità di puntuali controlli in sede giurisdizionale. In altri termini, sia la norma generale, sia quella che si riferisce in concreto all’Ilva di Taranto, si interpretano agevolmente nel senso che l’azienda interessata è vincolata al rispetto delle prescrizioni dell’AIA, quale è e quale sarà negli eventuali sviluppi successivi, e che l’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012 non ha precluso né preclude tutti i rimedi giurisdizionali esperibili riguardo ad un atto amministrativo». Altra domanda, nella bocca di tutti: Ma questi semilavorati si possono dissequestrare o no? La Corte dice questo: « 12.3.– Dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012 – che contiene sia la disciplina generale dell’attività degli stabilimenti di interesse strategico nazionale sottoposti ad AIA riesaminata, sia la diretta individuazione dell’Ilva di Taranto come destinataria di tale normativa – il sequestro del materiale prodotto, disposto dal Giudice per le indagini preliminari, e il divieto della sua commercializzazione, hanno perduto il loro presupposto giuridico, che consisteva nell’inibizione, derivante dal precedente sequestro, della facoltà d’uso dello stabilimento. Quest’ultimo infatti trova la sua unica funzione nella produzione dell’acciaio e tale attività, a sua volta, ha senso solo se lo stesso può essere commercializzato». La Corte Costituzionale sente il peso di questa decisione e lo dimostra in questo passaggio: «Né può essere ammesso che un giudice (ivi compresa questa Corte) ritenga illegittima la nuova normativa in forza di una valutazione di merito di inadeguatezza della stessa, a prescindere dalla rilevata violazione di precisi parametri normativi, costituzionali o ordinari, sovrapponendo le proprie valutazioni discrezionali a quelle del legislatore e delle amministrazioni competenti. Tale sindacato sarebbe possibile solo in presenza di una manifesta irragionevolezza della nuova disciplina dettata dal legislatore e delle nuove prescrizioni contenute nell’AIA riesaminata. Si tratta di un’eventualità da escludere, nella specie, per le ragioni illustrate nei paragrafi precedenti, che convergono verso la considerazione complessiva che sia il legislatore, sia le amministrazioni competenti, hanno costruito una situazione di equilibrio non irragionevole. Ciò esclude, come detto prima, un “riesame del riesame”, che non compete ad alcuna autorità giurisdizionale. Si deve ritenere, in generale, che l’art. 1 del d.l. n. 207 abbia introdotto una nuova determinazione normativa all’interno dell’art. 321, primo comma, cod. proc. pen., nel senso che il sequestro preventivo, ove ricorrano le condizioni previste dal comma 1 della disposizione, deve consentire la facoltà d’uso, salvo che, nel futuro, vengano trasgredite le prescrizioni dell’AIA riesaminata. Nessuna incidenza sull’attività passata e sulla valutazione giuridica della stessa e quindi nessuna ricaduta sul processo in corso, ma solo una proiezione circa i futuri effetti della nuova disciplina. La reimmissione della società Ilva S.p.A. nel possesso degli impianti è la conseguenza obbligata di tale nuovo quadro normativo, affinché la produzione possa continuare alle nuove condizioni, la cui osservanza sarà valutata dalle competenti autorità di controllo e la cui intrinseca sufficienza sarà verificata, sempre in futuro, secondo le procedure previste dal codice dell’ambiente». O, ancora, lo fa intendere in un’altra frase significativa del contrasto tra leggi e aspettative, cavilli e fiducia collettiva: «L’avere l’amministrazione, in ipotesi, male operato nel passato non è ragione giuridico-costituzionale sufficiente per determinare un’espansione dei poteri dell’autorità giudiziaria oltre la decisione dei casi concreti. Una soggettiva prognosi pessimistica sui comportamenti futuri non può fornire base valida per una affermazione di competenza».

La sentenza è on line è tutti possono leggerla e farsene un’idea. Cosa succederà ora?

Beh, il cittadino, l’eco sentinella, può continuare a vigilare, affinché questo nuovo punto di equilibrio sulla nuova Aia, Autorizzazione integrata ambientale, possa essere reale. In quanto, cittadini e comunità, si legge nella sentenza: «Sono messi nelle condizioni di poter far valere con mezzi comunicativi, politici e giudiziari, nelle ipotesi di legittimità, i loro punti di vista». La Magistratura, quand’anche dovesse sbloccare il materiale prodotto, in ogni caso può continuare le sue indagini. E le autorità competenti possono scegliere tra diffida e revoca dell’Aia, niente affatto trasformata in legge ma presupposto della legge Salva Ilva. Nel frattempo, chi ha competenze, può progettare una Taranto alternativa e fattibile. Perché, se no, si punterà sempre alla salvezza dello stabilimento siderurgico.

Infine, i parlamentari, croce e delizia, spesso croce…, le leggi le possono sempre abrogare.

A riflettori spenti di #UnoMaggioTaranto, i tarantini sognano riconversioni e cambiamento

IMG_0085

CIMG7201

Striscione finale del 1° Maggio a Taranto

Striscione finale del 1° Maggio a Taranto

La Taranto con la voglia di rinascere, resistere, proporre, controllare, cambiare, si è svegliata dopo il 1° maggio 2013, ed il concerto ribattezzato mediaticamente “contro concertone”. E, quando si è svegliata, è ripartita dalle radici della sua forza propulsiva. Dalla voglia di proteggere le sue perle. Con ancora nelle orecchie i moniti di Fiorella Mannoia sul bisogno di unità in questo percorso. E con l’orgoglio di aver sensibilizzato artisti come Silvestri, Capossela, Elio e le Storie Tese, Modena City Ramblers, Nannini, a parlare di Taranto e del suo dramma dal palco di Roma o in video messaggi personalizzati. Passata quella voglia di festeggiare insieme, ascoltare musica, parlare di lavoro e ricatti, sulla scia dell’entusiasmo di Michele Riondino e del Comitato Cittadini Lavoratori Liberi e Pensanti, ora resta il ricordo di quell’apecar-segnale proiettato sulle torri affacciate sul parco archeologico delle mura greche. Pronto ad essere proiettato chissà dove il 2 agosto 2013, anniversario dell’irruzione dell’apecar in Piazza della Vittoria alla manifestazione dei sindacati confederali.

Area dibattito del 1° Maggio

Area dibattito del 1° Maggio

CIMG7053

E resta il bisogno di proseguire uniti, senza cadere nella trappola delle divisioni sociali, sempre insidiose nel mettere i lavoratori del siderurgico, dell’indotto metalmeccanico, contro i cittadini e gli ambientalisti. Aspettando impazientemente la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Salva Ilva. Il vessillo dell’apecar custodisce il meglio dei lavoratori tarantini delle industrie, pronti a rischiare in prima persona, denunciare le irregolarità nella fabbrica, l’impossibilità di risanare impianti obsoleti, i veleni riversati nella città, nella flora, nella fauna, nella salute delle persone, e dei bambini. Sentire, ancora una volta, Cataldo Ranieri urlare di non essere disposto a lavori assassini, ad implorare un intervento dello Stato, commuove, e quel groppo in gola stavolta l’hanno provato grandi artisti, venuti da fuori a sposare la causa di Taranto.

Landscape Choreography

Landscape Choreography

Landsacape Choreography

Landsacape Choreography

Quel groppo in gola è il carburante della Taranto migliore, da tempo. Quella dei ragazzi dei laboratori urbani del parco archeologico, Landscape Choreography. Delle associazioni e cooperative impegnate nella comunicazione e nell’assistenza socio-sanitaria. Di chi con il suo operato accende i riflettori sul Fiume Galeso, sulla Palude la Vela in Mar Piccolo, sull’arte veicolo di messaggi importanti. A volte, di fronte a questo amore per Taranto mi sento inadeguata. Mi chiedo se la amo allo stesso modo. O forse mi incanto a vedere riflessi i miei sentimenti non detti attraverso la spontaneità di gruppi ed associazioni tenacemente radicati nel territorio e con la voglia di difenderlo a tutti i costi. Sono ancora alla ricerca della mia risposta. Nel frattempo, sono al loro fianco. E voglio raccontarvi luoghi e situazioni con una carrellata di immagini, spiegando quali risorse umane e ambientali hanno portato gli organizzatori a voler lanciare quel messaggio “Si ai Diritti, No ai Ricatti”, quello storico 1° maggio 2013, quando grazie alla solidarietà tra artisti, la campagna in favore della Lingua Lis, Linguaggio dei Segni, e la Vertenza Taranto, hanno unito su un pentagramma emozionale Roma e la Magna Grecia, la Taranto Spartana.

Quadro di Aurora Cubiciotti, evento "Taranto Libera 2" degli Aut, ora a Palazzo di Città a Taranto

Quadro di Aurora Cubiciotti, evento “Taranto Libera 2” degli Aut, ora a Palazzo di Città a Taranto

Uno dei tanti quadri ispirati ai versi della canzone "Taranto Libera". Il primo è l'attentato alla giustizia

Uno dei tanti quadri ispirati ai versi della canzone “Taranto Libera”. Il primo è l’attentato alla giustizia

Il wwf guida gli appassionati alla Palude la Vela, su Mar Piccolo

Il wwf guida gli appassionati alla Palude la Vela, su Mar Piccolo

CIMG6991CIMG6972

Palude La Vela, Oasi, visitabile prenotandosi al wwf di Taranto.

Palude La Vela, Oasi, visitabile prenotandosi al wwf di Taranto.

Mar Piccolo visto dall'area del potenziale Parco del Galeso

Mar Piccolo visto dall’area del potenziale Parco del Galeso

Uno scatto del 2004, passeggiando sulle sponde del Fiume Galeso di Taranto.

Uno scatto del 2004, passeggiando sulle sponde del Fiume Galeso di Taranto.