Mar Piccolo, Vista Ilva, 8 maggio 2013
Nel labirinto della sentenza numero 85 della Consulta della Corte Costituzionale, sicuramente ti puoi perdere. Proviamo a trovare la strada insieme. E, magari, potremmo scoprire qualche chiave interpretativa dei giudici della Corte Costituzionale, sulla quale riaccendere la speranza di chi urla “Noi vogliamo vivere”. Un indizio: l’Aia rilasciata all’Ilva c’entra e come in questo ragionamento virtuale, e capirete perché, tra qualche rigo. Metà sentenza – più o meno le prime venti pagine – ripropone semplicemente le arringhe dell’udienza pubblica del 9 aprile 2013. Da un certo punto in poi, nella seconda metà, grosso modo nelle circa 25 pagine successive, la Corte inizia a dire e non dire delle cose. Questioni di rilevanza e fondamento di pezzi di legge, relativamente a pezzi di Costituzione Italiana, viaggiano sull’orlo del burrone, senza cascare nel vuoto, e restano in bilico in un magma di cavilli. Dopo aver capito su cosa era rilevante esprimersi, i giudici della Corte lo hanno fatto. Eppure, si ha la sensazione di ritrovare nelle loro argomentazioni il grosso delle posizioni pro Governo/Ilva, ma anche altro…. La Corte dice: «Giova precisare l’effettiva portata dell’intervento normativo compiuto, mediante la norma censurata, in ordine alla crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, volto a rendere compatibili la tutela dell’ambiente e della salute con il mantenimento dei livelli di occupazione, anche in presenza di provvedimenti di sequestro giudiziario degli impianti». E tradisce, secondo me, una preferenza, quando, parlando di Aia, precisa una delle implicazioni: «vi sia assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione». Ricordatevi questo aggettivo. Poi, capirete perché dovete ricordarvelo.
Dunque, nelle sue motivazioni, mischiate tra una memoria delle parti e l’altra, la Corte sembra sgombrare il campo da concetti di impunità dell’Ilva e nega la possibilità di poter incidere in alcun modo sulle indagini della Magistratura facendo riferimento alla famigerata legge. E ci prepara alla sorpresa: «In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, l’autorità competente procede, secondo la gravità delle infrazioni: a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per l’ambiente; c) alla revoca dell’AIA e alla chiusura dell’impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni, che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente». Nel suo dire e non dire, la Corte spiega si riferisce al bilanciamento tra diritti costituzionali: «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri (eppure, quando si parlava di occupazione e produzione questo aggettivo andava bene….mie note di commento). La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo fondamentale, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un carattere preminente del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute come valori primari (sentenza n. 365 del 1993, citata dal rimettente) implica una “rigida” gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Con un poco di zucchero la pillola va giù, diceva Mary Poppins, ed arriva il regalo rivolto agli attivisti ed ai tarantini danneggiati: «In definitiva, i cittadini non sono privati del diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive, con relative domande risarcitorie, di cui agli artt. 24 e 113 Cost». Tante grazie di cuore….
Scavando scavando…si smonta un altro luogo comune. I magistrati di Taranto la sanno lunga….ma non possono oltrepassare i limiti: «È appena il caso di aggiungere che non rientra nelle attribuzioni del giudice una sorta di “riesame del riesame” circa il merito dell’AIA, sul presupposto – come sembra emergere dalle considerazioni del rimettente, di cui si dirà più avanti, prendendo in esame le norme relative allo stabilimento Ilva di Taranto – che le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti e sicuramente inefficaci nel futuro. In altre parole, le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda, attribuendo in partenza una qualificazione negativa alle condizioni poste per l’esercizio dell’attività stessa, e neppure ancora verificate nella loro concreta efficacia». Emergenza Ambientale ed Occupazionale fanno passare in secondo piano, secondo la Corte Costituzionale, alcune omissioni: «La giurisprudenza della Corte EDU ha costantemente affermato che “il principio dello stato di diritto e la nozione di giusto processo custoditi nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti ragioni di interesse pubblico, l’interferenza dell’assemblea legislativa nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia” (Corte EDU, sez. II, sentenza 14 dicembre 2012, Arras contro Italia, in conformità alla giurisprudenza precedente). Dal canto suo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha costantemente affermato che contro tutti gli atti, anche aventi natura legislativa, “gli Stati devono prevedere la possibilità di accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o ad altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge” (sentenza 16 febbraio 2012, in causa C-182/10, Solvay et al. vs. Région wallone, in conformità alla giurisprudenza precedente). 12.2.– Con riferimento all’individuazione diretta dell’impianto siderurgico della società Ilva di Taranto come “stabilimento di interesse strategico nazionale”, si deve osservare che a Taranto si è verificata una situazione grave ed eccezionale, che ha indotto il legislatore ad omettere, per ragioni di urgenza, il passaggio attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della qualificazione di cui sopra. Sia la normativa generale che quella particolare si muovono quindi nell’ambito di una situazione di emergenza ambientale, dato il pregiudizio recato all’ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante, e di emergenza occupazionale, considerato che l’eventuale chiusura dell’Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone (tanto più numerose comprendendo il cosiddetto indotto)». E veniamo, ora, alla buona notizia, l’ago nel pagliaio di questa sentenza: l’Aia non è una legge, non ha forza di legge, non è blindata e resta un atto amministrativo. Quindi, se non viene applicata, può essere pure revocata. Chiaro? Inteso? «Non ha neppure fondamento l’affermazione, dello stesso rimettente, che vi sia stata una “legificazione” dell’AIA riesaminata, con la conseguenza che contro tale atto amministrativo, nel caso specifico dell’Ilva di Taranto, non sarebbero esperibili i normali rimedi giurisdizionali. È vero, al contrario, che l’AIA è pur sempre – come statuito in via generale dall’art. 1, non contraddetto dall’art. 3 – un presupposto per l’applicabilità dello speciale regime giuridico, che consente la continuazione dell’attività produttiva alle condizioni ivi previste. In quanto presupposto, essa rimane esterna all’atto legislativo, con tutte le conseguenze, in termini di controllo di legalità, da ciò derivanti. Il comma 2 dell’art. 3 richiama l’AIA del 26 ottobre 2012 allo scopo di ribadire lo stretto condizionamento della prosecuzione dell’attività all’osservanza delle nuove prescrizioni poste a tutela dell’ambiente e della salute, ferma restando naturalmente la natura dinamica del provvedimento, che può essere successivamente modificato e integrato, con relativa possibilità di puntuali controlli in sede giurisdizionale. In altri termini, sia la norma generale, sia quella che si riferisce in concreto all’Ilva di Taranto, si interpretano agevolmente nel senso che l’azienda interessata è vincolata al rispetto delle prescrizioni dell’AIA, quale è e quale sarà negli eventuali sviluppi successivi, e che l’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012 non ha precluso né preclude tutti i rimedi giurisdizionali esperibili riguardo ad un atto amministrativo». Altra domanda, nella bocca di tutti: Ma questi semilavorati si possono dissequestrare o no? La Corte dice questo: « 12.3.– Dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012 – che contiene sia la disciplina generale dell’attività degli stabilimenti di interesse strategico nazionale sottoposti ad AIA riesaminata, sia la diretta individuazione dell’Ilva di Taranto come destinataria di tale normativa – il sequestro del materiale prodotto, disposto dal Giudice per le indagini preliminari, e il divieto della sua commercializzazione, hanno perduto il loro presupposto giuridico, che consisteva nell’inibizione, derivante dal precedente sequestro, della facoltà d’uso dello stabilimento. Quest’ultimo infatti trova la sua unica funzione nella produzione dell’acciaio e tale attività, a sua volta, ha senso solo se lo stesso può essere commercializzato». La Corte Costituzionale sente il peso di questa decisione e lo dimostra in questo passaggio: «Né può essere ammesso che un giudice (ivi compresa questa Corte) ritenga illegittima la nuova normativa in forza di una valutazione di merito di inadeguatezza della stessa, a prescindere dalla rilevata violazione di precisi parametri normativi, costituzionali o ordinari, sovrapponendo le proprie valutazioni discrezionali a quelle del legislatore e delle amministrazioni competenti. Tale sindacato sarebbe possibile solo in presenza di una manifesta irragionevolezza della nuova disciplina dettata dal legislatore e delle nuove prescrizioni contenute nell’AIA riesaminata. Si tratta di un’eventualità da escludere, nella specie, per le ragioni illustrate nei paragrafi precedenti, che convergono verso la considerazione complessiva che sia il legislatore, sia le amministrazioni competenti, hanno costruito una situazione di equilibrio non irragionevole. Ciò esclude, come detto prima, un “riesame del riesame”, che non compete ad alcuna autorità giurisdizionale. Si deve ritenere, in generale, che l’art. 1 del d.l. n. 207 abbia introdotto una nuova determinazione normativa all’interno dell’art. 321, primo comma, cod. proc. pen., nel senso che il sequestro preventivo, ove ricorrano le condizioni previste dal comma 1 della disposizione, deve consentire la facoltà d’uso, salvo che, nel futuro, vengano trasgredite le prescrizioni dell’AIA riesaminata. Nessuna incidenza sull’attività passata e sulla valutazione giuridica della stessa e quindi nessuna ricaduta sul processo in corso, ma solo una proiezione circa i futuri effetti della nuova disciplina. La reimmissione della società Ilva S.p.A. nel possesso degli impianti è la conseguenza obbligata di tale nuovo quadro normativo, affinché la produzione possa continuare alle nuove condizioni, la cui osservanza sarà valutata dalle competenti autorità di controllo e la cui intrinseca sufficienza sarà verificata, sempre in futuro, secondo le procedure previste dal codice dell’ambiente». O, ancora, lo fa intendere in un’altra frase significativa del contrasto tra leggi e aspettative, cavilli e fiducia collettiva: «L’avere l’amministrazione, in ipotesi, male operato nel passato non è ragione giuridico-costituzionale sufficiente per determinare un’espansione dei poteri dell’autorità giudiziaria oltre la decisione dei casi concreti. Una soggettiva prognosi pessimistica sui comportamenti futuri non può fornire base valida per una affermazione di competenza».
La sentenza è on line è tutti possono leggerla e farsene un’idea. Cosa succederà ora?
Beh, il cittadino, l’eco sentinella, può continuare a vigilare, affinché questo nuovo punto di equilibrio sulla nuova Aia, Autorizzazione integrata ambientale, possa essere reale. In quanto, cittadini e comunità, si legge nella sentenza: «Sono messi nelle condizioni di poter far valere con mezzi comunicativi, politici e giudiziari, nelle ipotesi di legittimità, i loro punti di vista». La Magistratura, quand’anche dovesse sbloccare il materiale prodotto, in ogni caso può continuare le sue indagini. E le autorità competenti possono scegliere tra diffida e revoca dell’Aia, niente affatto trasformata in legge ma presupposto della legge Salva Ilva. Nel frattempo, chi ha competenze, può progettare una Taranto alternativa e fattibile. Perché, se no, si punterà sempre alla salvezza dello stabilimento siderurgico.
Infine, i parlamentari, croce e delizia, spesso croce…, le leggi le possono sempre abrogare.