Lorenzo, a 5 anni, è diventato una stellina. Inconsapevole simbolo di battaglie e speranza nella lotta contro il cancro

Due anni fa, diventò inconsapevole simbolo delle battaglie di Taranto contro inquinamento ambientale e cancro infantile. A cinque anni, tumore al cervello, Lorenzo Zaratta, nato col cancro, diagnosticato quando aveva 3 mesi, amichevolmente chiamato Lollo, è diventato una stellina del firmamento. Chiunque di noi, abbia seguito, come giornalista o blogger, i due anni cruciali di Taranto, a volte consapevolmente, altre inconsapevolmente, si è imbattuto nella sofferenza fiera del suo papà, Mauro, nelle manifestazioni con il cartello sulla malattia di suo figlio, o negli striscioni dei suoi amici quando a Firenze provava a salvargli la vita. Una complicanza, gli ha tolto la vita. Ieri, il suo papà, con tenerezza, ha affidato al social media facebook questo messaggio nella bottiglia: “Cari amici/e volevo avvisarvi che Lorenzino ci ha fatto uno scherzetto…ha voluto diventare un angioletto…”. E, poi, ha aggiunto: “Chiunque vorrà salutare Lorenzino potrà farlo domani pomeriggio (oggi, 31 agosto 2014), alle 16:30 alla chiesa di Lama centro. Vi preghiamo di non fare telegrammi fiori o altro, se volete fate donazioni a  Fondazione Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze, ed associazione amici di Valerio e fondazione Tommasino Bacciotti“. Lorenzo e la sua storia lasceranno una scia di dolore incolmabile in chi sperando nella sua salvezza sperava in un certo senso di salvare tutti i bambini di Taranto. Non ho mai conosciuto il suo papà direttamente. Tanti miei amici gli vogliono bene. A lui, alla sua famiglia, alla mamma di Lollo, una carezza….:-(

 

Lorenzo e Mauro lottano con noi!

Lorenzo e Mauro lottano con noi!

 

Un bambino ammalato di cancro, ricordato dal cartello portato in Piazza Maria Immacolata da suo padre, alla manifestazione del 17 agosto 2012

Un bambino ammalato di cancro, Lorenzo, ricordato dal cartello portato in Piazza Maria Immacolata da suo padre, Mauro Zaratta, alla manifestazione del 17 agosto 2012

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In lontananza, il cartello del papà di Lorenzo

 

La rievocazione di una sciantosa al Tabarin negli anni ’20: “l’Irresistibile Anna Fougez” rivive in Tiziana Spagnoletta

Penso all’ultimo sabato sera, al recital “Irresistibile Anna Fougez”, rappresentato al Mudi di città vecchia a Taranto (Museo Diocesano), nel 120° anniversario della nascita della sciantosa più famosa degli anni “20”. E ripenso all’aprile del 2007, quando il nuovo allestimento della commedia musicale in due atti e gran finale, di Leo Pantaleo, “Anna Fougez, il mondo parla io resto”, infiammò il Teatro Orfeo dopo un ventennio dalla prima, in un tripudio di colori e musiche, rievocando gli anni del tabarin. Penso e ripenso…a quanto ho visto ed ascoltato ieri ed a quanto ritorna nei miei ricordi dell’esperienza di 7 anni fa. Un filo sottile congiunge questi due momenti. Il soprano, attrice, Tiziana Spagnoletta, ha iniziato a rievocare Anna Fougez proprio in occasione del ritorno alla ribalta di quella commedia di Leo. Il lavoro era ambizioso, aveva un grande potenziale e nessun soldo. E, presto, la tournée si interruppe. Tiziana ha continuato a portare in giro un adattamento di quel lavoro, sotto forma di piano e recital, rievocando ogni volta la diva e mettendo a frutto, alla sua maniera, quanto imparò nei mesi di regia di Leo, regista e costumista. 

Tiziana Spagnoletta al trucco

Tiziana Spagnoletta al trucco

 

Ad accompagnarla nello spettacolo, la pianista, Ornella Carrieri. A precederla, l’attrice, Francesca Marseglia, nel cast della commedia del 2007, nei panni della trasgressiva Luisa Pom Pom, e stavolta alla prese con la presentazione del concerto nell’anteprima. Ha ricordato la biografia di Anna Fougez, vero nome Maria Annina Laganà Pappacena, nata a Taranto in Vico Innocentini, ed il periodo storico.

Sul palco, Francesca Marseglia, ricorda la vita della Fougez

Sul palco, Francesca Marseglia, ricorda la vita della Fougez

Ornella Carrieri sulla sinistra

Ornella Carrieri sulla sinistra

In scaletta, c’erano i successi dell’epoca ed alcune rivisitazioni contaminate. Mi hanno convinto le interpretazioni classiche. Non mi hanno convinto le rivisitazioni. Non perché fossero mal arrangiate dal maestro Maurizio Lomartire (Addio Tabarin, In cerca di te, Vivere) o mal interpretate. Semplicemente, perché in questa rievocazione, secondo me, funziona di più la rievocazione della contaminazione. L’ho pensata e l’ho detta 🙂

Panoramica d'insieme, Museo Diocesano

Panoramica d’insieme, Museo Diocesano

Se devo essere sincera, sapete quando mi sono davvero emozionata? Quando “Anna Fougez” ha cantato “Addio signora”. Eleganza e potenza evocativa erano al massimo, proprio in quel momento li. O ancora con “Il fox trot delle piume” e con “Fiocca, la neve fiocca”, capace di trascinare la platea.

Tiziana Spagnoletta in "Anna Fougez"

Tiziana Spagnoletta in “Anna Fougez”

Un particolare della serata, mentre la Fougez toglie il soprabito e le piume l'attendono sulla sedia

Un particolare della serata, mentre la Fougez toglie il soprabito e le piume l’attendono sulla sedia

Nella commedia musicale, la figura di un giornalista è il pretesto narrativo necessario a far raccontare la storia della diva. Implacabile sulle scene, fino in fondo, nonostante la minaccia della guerra. Nel recital, viene invece fuori la vanità eccentrica della Fougez, la sua voglia di stare sulla ribalta ed essere diva e vamp, raccontandosi al pubblico.

Espressioni evocative

Espressioni evocative

Nella scena, compare ancora l’idea dell’Abat jour, titolo di una delle canzoni riarrangiate inserite nella scaletta. Una delle idee scenografiche ispirate al commedia musicale integrale. Nel finale, una voce ricorda Renè Thano, artista e compagno della diva, intento a suggerirle di fermarsi di fronte alla follia del conflitto e di lasciare la ribalta. Si avverte, in questi passaggi, la mancanza di una regia reale, nelle cerniere tra prosa e canto. In ogni caso, queste sfumature non oscurano la luce di questa interpretazione di Anna Fougez, con la quale “Gli Amici della Musica Arcangelo Speranza” hanno voluto ricordare i 120 anni della sua nascita.

Verso il finale

Verso il finale

Mancava qualcuno, Leo Pantaleo. Già. All’ultimo, ha comunicato di non poterci essere, con dispiacere di chi lo attendeva e di chi comunque riusciva ad avvertire la sua presenza in ogni momento, di un recital nato solo grazie a quella felice esperienza della commedia ed a quel fortuito incontro tra lui e la protagonista, prescelta in una concatenazione di congiunture favorevoli. 

Foto: Studio Renato Ingenito in occasione della rappresentazione del 2007. Al centro, Tiziana Spagnoletta, ai lati, Renato Forte a sinistra e Leo Pantaleo a destra.

Foto: Studio Renato Ingenito in occasione della rappresentazione del 2007. Al centro, Tiziana Spagnoletta, ai lati, Renato Forte a sinistra e Leo Pantaleo a destra, orgoglioso costumista di quasi tutti gli abiti della commedia. http://www.fotografiaingenito.it/

Tra chi ha custodito, più di tanti, la memoria di questa sciantosa, c’è sicuramente Leo Pantaleo, con le sue ricerche di cimeli, le sue mostre, le sue rappresentazioni, i suoi costumi ispirati, “il suo orgoglio”.

Foto proiettate sul Mudi

Eppure, pochi tarantini conoscono la storia della diva e sanno quale fine stia facendo la sua sepoltura. Chissà se, un giorno, qualcuno penserà di commemorala, con rispetto. Taranto era la città dei teatri. E la rivoluzione industriale forzata del ‘900 ha ingiallito il filo di quella memoria storica, preservato solo grazie alla testa dura di pochi illuminati artisti.

“God”, un nome, la ragione di una fuga, la speranza di un sogno

Il mio incontro con "God", insieme ad Andrea Occhinegro

Il mio incontro con “God”, insieme ad Andrea Occhinegro Foto Servizio di Luca Ingenito per Studio Renato Ingenito

Se volessimo trovargli un diminutivo, amichevole, forse “God” sarebbe il più giusto. Il suo esodo lo ha portato in Italia nel 2014 ed oggi è un richiedente asilo. La sua casa, fino a quando non sarà discusso lo status di rifugiato, sarà l’Abfo, Associazione benefica “Fulvio Occhinegro”. Diventato uno dei centri di solidarietà di riferimento dell’emergenza profughi e, recentemente, degli sbarchi di “Mare Nostrum” e delle donazioni dei benefattori. Si fida di Andrea Occhinegro, presidente dell’associazione, ed ha accettato di raccontare la sua storia. Un racconto di vita emblematico e comune a tanti migranti, profughi, in fuga dall’Africa subsahariana, in questo caso, e dalla Nigeria. I suoi occhi, quando accetta di iniziare a parlare, non ridono mai, nemmeno se la sua bocca accenna un sorriso. Sono tristi, colmi di ricordi malinconici, lutti non pienamente elaborati, ed esperienze drammatiche. Oggi, lui rappresenta il simbolo della tratta umana degli scafisti, di quegli esseri umani stipati nei barconi. Perfino nella traversata, infatti, esistono le differenze sociali. Se, benestanti, spesso siriani, pagano grosse cifre nei viaggi sui gommoni veloci, lasciando alle spalle una guerra civile e sognando di ricongiungersi a parenti e comunità nel Nord Europa, questi giovani del centro Africa lasciano le guerre tribali ed il conflitto religioso tra cristiani e musulmani e, loro malgrado, finiscono in losche tratte di nuovi schiavi e traffici di uomini. Vengono costretti a barattare il miraggio di un viaggio verso l’Europa con lavori forzati e, se non accettano queste forme di schiavitù, non bevono e non mangiano. Lasciano le terre calde a sud del deserto e finiscono intrappolati in Libia, a lungo, a volte fino a due anni, prima di riuscire a trovare il modo di guadagnarsi il loro posto su una di quelle imbarcazioni insicure e pericolosissime, in qualche caso tragicamente letali, se non si arriva disidratati dopo due, tre giorni di navigazione, sotto il sole, sperando di essere soccorsi e di non naufragare. «I worked in Libia for “the arab man”, two years». Ripete, ricordando i due anni di lavoro in cambio di un sogno, correndo il rischio di trasformarlo in una dolorosa e raggelante illusione. Nel suo villaggio nigeriano, God, in nome di un conflitto su un Dio, ha perso la pace, la mamma e la sorella. Gli torna in mente suo padre, quando lo incontrò in ospedale, prima di lasciare la Nigeria e decidere di tentare, solitario, di attraversare il deserto, a piedi, mettendoci due settimane almeno. “Sahba”, nome di una città libica e di un carcere disumano, dove poteva essere motivo di detenzione a quanto pare una semplice voglia di espatrio, ancor peggio se si era neri e cristiani, viene fuori nelle sue parole, al pari di quanto raccontano alle associazioni ed ong accreditate i migranti sopravvissuti ad un vero e proprio internamento simile ad un girone infernale. Qui, avrebbero sparato ed ucciso i suoi amici, davanti ai suoi occhi: «My friends, in Libia…killed to my presence, at Sahba with guns». E, così, God, e gli altri suoi “fratelli” africani, sono arrivati nel nostro Paese dopo aver beffato la morte nei genocidi, nel deserto, nei lager della tratta, nei viaggi su barconi. Ora, devono superare l’ultimo scoglio dello status di rifugiato e del permesso di soggiorno, dell’integrazione, della ricerca di un lavoro, di una nuova vita in Europa. E, fino ad oggi, lui e tanti altri nigeriani, eritrei, sudanesi, ghanesi, somali, la loro forza di volontà l’hanno dimostrata tutta. A settembre, la commissione territoriale di Bari discuterà la sua richiesta. Adesso, ha solo voglia di dire grazie a chi l’ha accolto, aiutandolo, dandogli vestiti, cibo e, soprattutto, amicizia. Paradossalmente, tra i migliaia arrivati con gli sbarchi di “Mare Nostrum”, saranno davvero in pochi a richiedere asilo in Italia. La maggior parte, o temporeggia o già sta tentando di oltrepassare il confine. Come è ormai “prassi” non scritta, nota a chiunque stia osservando davvero questo fenomeno.

(Articolo pubblicato nell’edizione di Taranto di “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 2 Luglio 2014)

TARANTO 30 06 2014CENTRO ABFO INTERVISTA

“….ebony, ivory living in perfect harmony” Foto Servizio di Luca Ingenito per Studio Renato Ingenito

L’appello di Amnesty International sugli abusi in Libia: “Libia: stop agli abusi contro i migranti, rifugiati e richiedenti asilo!”

Il testo dell’appello:

Decine di migliaia di migranti e rifugiati che entrano in Libia dall’Africa Subsahariana, dall’Africa del Nord e dal Medio Oriente rischiano sfruttamento, detenzione arbitraria e detenzione a tempo imprecisato e in dure condizioni, così come abusi durante l’arresto e la detenzione. Dopo essere stati arrestati da membri  di agenzie di sicurezza statali, di milizie e, talvolta, da cittadini “preoccupati”, vengono spesso trattenuti in “centri di detenzione” sovraffollati e scarsamente finanziati, gestiti dal ministero degli Interni o dalle milizie. Minori richiedenti asilo non accompagnati possono essere detenuti in tali condizioni per mesi senza poter incontrare le famiglie. Amnesty International ha documentato numerosi casi di percosse, frustate e altre forme di tortura o maltrattamenti in queste strutture, anche nei confronti delle donne. In assenza di personale femminile, le detenute migranti e rifugiate sono esposte ad abusi sessuali, comprese perquisizioni intrusive sul corpo da parte di guardie maschili.

Secondo la legge libica, i cittadini stranieri che entrano in Libia irregolarmente possono essere detenuti a tempo indeterminato in attesa dell’espulsione. La maggior parte di loro non è mai stata portata davanti all’autorità giudiziaria per poter contestare la detenzione o denunciare il trattamento subito. La loro espulsione può essere ritardata per mesi per motivi finanziari e amministrativi e a causa dello scarso coordinamento tra le ambasciate dei paesi detenuti. Le autorità libiche hanno anche iniziato a sottoporre i cittadini stranieri a esami medici forzati e a espellere quelli con diagnosi di infezioni virali come l’epatite B e C o Hiv. I funzionari libici o i miliziani non fanno alcuna distinzione tra migranti irregolari, richiedenti asilo e rifugiati.

Persone che necessitano di protezione internazionale si trovano a dover affrontare il rischio di detenzione arbitraria e indefinita, tortura e altri maltrattamenti. Sebbene l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) visiti le strutture di detenzione, non esiste un sistema nazionale per valutare le esigenze di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati e per proteggerli dall’espulsione.

Nonostante la situazione dei migranti e dei richiedenti asilo in Libia, l’Ue e i suoi stati membri hanno continuato a portare avanti forme di cooperazione con la Libia per il controllo dell’immigrazione. Più di recente, l’Ue ha istituito una missione di assistenza alle frontiere (Eubam) volta a rafforzare la capacità delle autorità libiche allo scopo di migliorare i controlli alle frontiere, anche per quanto riguarda la gestione dei flussi migratori.

La presidenza italiana dell’Unione Europea dovrebbe:

  • evitare di stipulare accordi futuri sul controllo dell’immigrazione con la Libia fino a quando le autorità locali non avranno dimostrato di rispettare e proteggere a pieno i diritti umani dei rifugiati, richiedenti asilo e migranti, e di mettere in atto un valido sistema di valutazione e riconoscimento delle domande di protezione internazionale;
  • garantire che l’Ue monitori e valuti regolarmente l’impatto sui diritti umani della cooperazione con la Libia in tema di flussi migratori.

Il blog di Save the Children:  L’arrivo in Italia via mare: l’immigrazione dalla Libia

Il testo del post:

La Libia è un paese di transito o destinazione per molti migranti provenienti da diverse aree geografiche. L’instabilità del paese rende l’immigrazione dalla Libia verso l’Europa molto frequente. Gli immigrati Eritrei che arrivano in Italia via mare partono infatti dal paese nordafricano, dove spesso passano mesi rinchiusi in centri di detenzione subendo violenze, maltrattamenti e, in alcuni casi, come da loro raccontato, torture.

Arrivano in Libia dopo aver attraversato il Sudan, da soli o ceduti dai trafficanti sudanesi a quelli libici. Trascorrono mesi in centri di detenzione  e, secondo quello che ci hanno raccontato, sono liberati solo a fronte di pagamento o lavorando in condizioni di sfruttamento. Quando riescono a fuggire da queste situazioni resta da affrontare il mare per arrivare in Europa, rischiando, ancora una volta la propria vita. In altri casi vengono detenuti dai trafficanti in luoghi isolati, stipati per mesi, prima di intraprendere un viaggio verso l’Italia  organizzato dai trafficanti stessi con imbarcazioni fatiscenti.

Questo avviene perché la legge libica prevede che i cittadini stranieri entrati nel paese irregolarmente possono essere detenuti a tempo indeterminato in attesa dell’espulsione. Anche le persone che necessitano di protezione internazionale devono affrontare il rischio di detenzione arbitraria e indefinita, tortura e altri maltrattamenti.

La Libia non ha ratificato infatti il principale strumento di protezione dei rifugiati, la Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo Protocollo (1969).  Nonostante ciò e il fatto che il rischio di detenzione in Libia sia molto alto, soprattutto per gli immigrati dall’Africa Subsahariana, sono molti i rifugiati e i richiedenti asilo che arrivano nel paese.

In attesa della creazione di un sistema nazionale per i richiedenti asilo e la firma di un accordo di intesa fra il governo libico e l’Unhcr, per far fronte a questa drammatica realtà, stanno progressivamente riprendendo le registrazioni dei richiedenti asilo e l’Unhcr monitora la situazione nei luoghi di detenzione.

Purtroppo però, alla fine del 2013, sono stati migliaia gli immigrati arrestati a tempo indefinito e rinchiusi in centri di detenzione in condizioni di sovraffollamento e di carenze igieniche. Non avevano alcun mezzo per contestare la legittimità della loro detenzione o il loro trattamento,  hanno  subito  abusi verbali, pestaggi e altri maltrattamenti e, in alcuni casi,  sono stati anche torturati. Almeno due cittadini stranieri sono morti in custodia nelle mani delle milizie libiche.

Bereket, ed altri ragazzi eritrei, arrivati in Italia, si lasciano dunque alle spalle esperienze drammatiche e hanno assoluto bisogno di assistenza e protezione.