“Ancora Vivi”, dopo il 4 maggio in corteo ai Tamburi: i pomi di discordia

Torno dopo un po’ di tempo a riflettere nero su bianco sul mio blog, aperto nel 2012, l’anno di tante rivoluzioni sociali e personali. Stavolta, mi soffermo sul corteo nazionale “Noi vogliamo vivere”, organizzato il 4 maggio 2019 a Taranto.

L’idea sarebbe stata iniziare in Piazza Gesù Divin Lavoratore e concludere al tubificio di Arcelor Mittal. Tuttavia, un fuori programma ha imposto una pronta e necessaria retromarcia ed il ritorno al punto di partenza. Se avete pazienza, poi, vi spiego il perché.

I ragazzi, ventenni, trentenni, riuniti in un’assemblea permanente l’8 marzo (una definizione simile era stata usata ai tempi di Officine Tarantine, nei Baraccamenti Cattolica Occupati), avevano provato in due mesi ad organizzare la loro prima iniziativa collettiva a favore di università di Taranto indipendente e sviluppo economico alternativo, contro industrie obsolete e fossili, ex Ilva, Eni, Cemerad ed altre.

Chiedevano e chiedono un’opportunità di restare nella propria terra e non essere costretti a fare la valigia ed emigrare. Le loro linee di azione, ribadite nell’evento su Facebook ed in due pagine, Ancora Vivi e Quattromaggiotaranto, sono: conoscenza, condivisione di saperi ed esperienze, welfare sostenibile sui diritti universali, piani di lavoro alternativi, bonifiche dei territori avvelenati, costruzione di modelli sociali inclusivi, riqualificazione dei quartieri abbandonati e maggiori interventi specializzati nel campo della prevenzione dei danni sanitari connessi a numerosi fattori di pressione ambientale esistenti.

Al corteo, associazioni e cittadini di Taranto si sono unite dietro due striscioni: “Il tempo è scaduto: Cambiamo Taranto” e “Alternative di Sviluppo”.

Seguivano rappresentanze di studenti, movimenti di altre città, sindacati e partiti. Quando tutti erano pronti a sfilare, riempivano l’isolato tra la piazza e via San Francesco D’Assisi. Saranno stati qualche migliaio ed a turno si alternavano ospiti e studenti al microfono.

Ho ascoltato voci di No Tav, No Tap, No Muos, No Triv, Collettivo in Apnea di Manfredonia, Prendocasa di Cosenza e ad un tratto Monica Altamura di Liberiamo Taranto apre una parentesi sulla bellezza di questa città e  sul bisogno di narrarla e farla conoscere a tutti. 

Chiara rappresentava “Sapienza Clandestina”: «Siamo di Roma ed altre città d’Italia. Ilva, Tap, Tav ledono il nostro futuro. Non si può scegliere tra salute e futuro. Il ricatto non ci sta bene. I danni delle grandi opere non dobbiamo pagarli noi. I ministri di ogni partito hanno disatteso le promesse. La soluzione sono i giovani, le lotte. Taranto ha dimostrato di aver alzato la testa. Scenderemo il 24 maggio in piazza a Roma contro il cambiamento climatico. La lotta continua ed è quotidiana. Le devastazioni nei territori riguardano tutti. Non ci fidiamo più di nessuno».

Luca, toscano, è di Laboratorio Crash di Bologna: «Accumulano banconote sulle nostre tombe, la nostra dignità, la nostra salute. Dobbiamo dire basta alle tante Ilva, di tutta Italia e non soltanto. Lavorare o vivere è una domanda spregevole. Non ce la vogliamo più porre. Le nostre città muoiono di lavoro. Ci vuole una sostenibile transizione ecologica. Devono pagarla loro, i ricchi».

Ludovica, coordinatrice di Unione Studenti Taranto, liceale, ha rilanciato “Da scuole e università, Taranto rinasce” e ha ricordato le scuole chiuse nei giorni di wind days (l’ordinanza in vigore quando soffia il vento di tramontana e trasporta polveri minerarie di carbone): «Siamo studenti e studentesse, i giovani in formazione. Vogliamo un futuro migliore, non fatto di precarietà, che non significhi scappare, perché qui non si può studiare, né fare ricerca (i corsi di laurea, di Dipartimento Universitario Jonico di Uniba, e Politecnico di Bari, sono ritenuti insufficienti). A Taranto non c’è lavoro oltre ex Ilva, Eni e Marina Militare. In questi mesi ed anni, abbiamo gridato di volere una scuola libera, aperta e senza questo mostro. Vogliamo istruzione gratuita, aperta, accessibile e di qualità». 

Michael, 21 anni, tra gli organizzatori, ha fatto l’intervento augurale in piazza ed ha parlato di nuovo accanto all’autocarro, vicino all’acquedotto del Triglio, con il djset di musiche a tema (una a caso, “Nella mia città” di Africa Unite): «Iniziamo un percorso. Felicità, quartieri, amore, il bene della comunità. Da qui vogliamo ripartire. Vogliamo aprire uno spazio di discussione di democrazia diretta dove si pratichi la solidarietà collettiva contro un governo fascista, razzista e sessista. Gli abitanti del quartiere quotidianamente resistono alla condanna a morte di uno stato sempre più oscurantista. Da studenti, abitanti, precari vogliamo ripartire. Invitiamo tutti a partecipare il 18 maggio a Roma alla manifestazione contro grandi opere e cambiamento climatico». Ha criticato i sostenitori e firmatari del contratto di Governo tra Movimento Cinquestelle e Lega ed il Pd perché ha emanato i decreti legge salva Ilva: «Le istituzioni non stanno dalla nostra parte. Riconosciamo solo oppressori ed oppressi. Sono uno studente fuori sede a Forlì. Qui, è la mia lotta. Si parte e torna insieme, a pugno chiuso. Non ci interessa il turismo di massa, la speculazione. Ci interessano quartieri, bambini. Vogliamo costituire un osservatorio popolare sui fondi destinati a Taranto (e nel frattempo continuano gli incontri nell’area archeologica delle mura greche o sotto i portici accanto alla Santa Famiglia, alla Salinella). Ci mettiamo la faccia. Non vogliamo le poltrone. A costo di mettere in discussione la mia vita. Il modello di sviluppo lo devono decidere gli abitanti».

Questi sono i sogni di Chiara, Luca, Ludovica, Michael, e potrei aggiungere Giordano, Roberta, Gennaro, Monica e tanti altri. Qual è stato lo sbaglio allora? Sbagliato è stato non essere riusciti a decifrare le diverse motivazioni nel loro corteo. Ad un certo punto, determinati individui si sarebbero schierati e preparati ad attaccare la Polizia. Osservatori hanno definito il loro atteggiamento “militaresco”. Erano di fuori? Erano di Taranto?

Io mi trovavo nel corteo, sotto la pioggia, in veste di giornalista collaboratore di Nuovo Quotidiano di Puglia. Quando eravamo arrivati al ponte sulla carreggiata, in un piazzale di fronte alla Centrale Termoelettrica, poco dopo il coro “Via la Digos, non siamo criminali”, innescato tra le file dei Cobas, alcuni manifestanti hanno tentato di arrampicarsi sui cancelli ed offendere i lavoratori all’interno. I finanzieri li hanno a fatica allontanati, senza cariche né caschi né scudi. Successivamente, il nucleo antisommossa ha alzato gli scudi ed indossato i caschi ed è rimasto in difesa senza reagire. Contemporaneamente, personaggi a volto coperto sparavano petardi, razzi colorati, fumogeni, usavano mazze contro le camionette ed alcuni avrebbero lanciato sassi e bottiglie vuote. Alla fine, sono stati dispersi, di nuovo senza la carica. Ragione? La Polizia non se l’è sentita di caricare i violenti, con tante famiglie e cittadini pacifici, ignari ed innocenti in questa situazione e decisamente troppo vicini all’agone di scontro.

In un verso o nell’altro, nessun presente in buona fede avrebbe mai potuto contestare nulla ai poliziotti, anzi, addirittura, racconterei un paradosso, esponenti di associazioni ritenevano lo schieramento iniziale di poliziotti e finanzieri poco incisivo nel piazzale.

Un fatto è certo, l’azione di questi provocatori, “il pomo della discordia”, ha catalizzato l’attenzione mediatica di organi di informazione tradizionale e mortificato gli scopi di ragazzi organizzatori ed associazioni aderenti in buona fede (su Youtube, la documentazione di Antonello Cafagna)

Io sono sicura, tanti, troppi non erano al corrente di una simile strategia. Le indagini ci aiuteranno a comprendere se era covata in una frangia, disarmonica ed in contrasto con i principi ispiratori mi auguro io. Sarebbe una grossa delusione umana scoprire il coinvolgimento di tanti ragazzi sognatori e delusi. Non voglio crederci. Continuo a seguire il mio istinto ed a credere alla loro autocritica, ribadita tra l’altro sui giornali di oggi, nella speranza di non essere smentita.

L’installazione simbolica di Domenico Campagna, il giorno dopo, ci ricorda il risveglio e fa venire in mente il grido “Tamburi, lotta con noi” e la frase simbolo di oltre 10 anni, “Taranto Libera”. 

 

La Corte Costituzionale fa superare l’esame alla legge “Salva Ilva” (Sicuri?) e “blocca” la legificazione dell’Aia

Mar Piccolo, Vista Ilva, 8 maggio 2013

Mar Piccolo, Vista Ilva, 8 maggio 2013

Nel labirinto della sentenza numero 85 della Consulta della Corte Costituzionale, sicuramente ti puoi perdere. Proviamo a trovare la strada insieme. E, magari, potremmo scoprire qualche chiave interpretativa dei giudici della Corte Costituzionale, sulla quale riaccendere la speranza di chi urla “Noi vogliamo vivere”. Un indizio: l’Aia rilasciata all’Ilva c’entra e come in questo ragionamento virtuale, e capirete perché, tra qualche rigo. Metà sentenza – più o meno le prime venti pagine – ripropone semplicemente le arringhe dell’udienza pubblica del 9 aprile 2013. Da un certo punto in poi, nella seconda metà, grosso modo nelle circa 25 pagine successive, la Corte inizia a dire e non dire delle cose. Questioni di rilevanza e fondamento di pezzi di legge, relativamente a pezzi di Costituzione Italiana, viaggiano sull’orlo del burrone, senza cascare nel vuoto, e restano in bilico in un magma di cavilli. Dopo aver capito su cosa era rilevante esprimersi, i giudici della Corte lo hanno fatto. Eppure, si ha la sensazione di ritrovare nelle loro argomentazioni il grosso delle posizioni pro Governo/Ilva, ma anche altro…. La Corte dice: «Giova precisare l’effettiva portata dell’intervento normativo compiuto, mediante la norma censurata, in ordine alla crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, volto a rendere compatibili la tutela dell’ambiente e della salute con il mantenimento dei livelli di occupazione, anche in presenza di provvedimenti di sequestro giudiziario degli impianti». E tradisce, secondo me, una preferenza, quando, parlando di Aia, precisa una delle implicazioni: «vi sia assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione». Ricordatevi questo aggettivo. Poi, capirete perché dovete ricordarvelo.

Dunque, nelle sue motivazioni, mischiate tra una memoria delle parti e l’altra, la Corte sembra sgombrare il campo da concetti di impunità dell’Ilva e nega la possibilità di poter incidere in alcun modo sulle indagini della Magistratura facendo riferimento alla famigerata legge. E ci prepara alla sorpresa: «In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, l’autorità competente procede, secondo la gravità delle infrazioni: a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per l’ambiente; c) alla revoca dell’AIA e alla chiusura dell’impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni, che determinino situazioni di pericolo o di danno per l’ambiente». Nel suo dire e non dire, la Corte spiega si riferisce al bilanciamento tra diritti costituzionali: «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri (eppure, quando si parlava di occupazione e produzione questo aggettivo andava bene….mie note di commento). La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Per le ragioni esposte, non si può condividere l’assunto del rimettente giudice per le indagini preliminari, secondo cui l’aggettivo fondamentale, contenuto nell’art. 32 Cost., sarebbe rivelatore di un carattere preminente del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona. Né la definizione data da questa Corte dell’ambiente e della salute come valori primari (sentenza n. 365 del 1993, citata dal rimettente) implica una “rigida” gerarchia tra diritti fondamentali. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». Con un poco di zucchero la pillola va giù, diceva Mary Poppins, ed arriva il regalo rivolto agli attivisti ed ai tarantini danneggiati: «In definitiva, i cittadini non sono privati del diritto di agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive, con relative domande risarcitorie, di cui agli artt. 24 e 113 Cost». Tante grazie di cuore….

Scavando scavando…si smonta un altro luogo comune. I magistrati di Taranto la sanno lunga….ma non possono oltrepassare i limiti: «È appena il caso di aggiungere che non rientra nelle attribuzioni del giudice una sorta di “riesame del riesame” circa il merito dell’AIA, sul presupposto – come sembra emergere dalle considerazioni del rimettente, di cui si dirà più avanti, prendendo in esame le norme relative allo stabilimento Ilva di Taranto – che le prescrizioni dettate dall’autorità competente siano insufficienti e sicuramente inefficaci nel futuro. In altre parole, le opinioni del giudice, anche se fondate su particolari interpretazioni dei dati tecnici a sua disposizione, non possono sostituirsi alle valutazioni dell’amministrazione sulla tutela dell’ambiente, rispetto alla futura attività di un’azienda, attribuendo in partenza una qualificazione negativa alle condizioni poste per l’esercizio dell’attività stessa, e neppure ancora verificate nella loro concreta efficacia». Emergenza Ambientale ed Occupazionale fanno passare in secondo piano, secondo la Corte Costituzionale, alcune omissioni: «La giurisprudenza della Corte EDU ha costantemente affermato che “il principio dello stato di diritto e la nozione di giusto processo custoditi nell’art. 6 precludono, tranne che per impellenti ragioni di interesse pubblico, l’interferenza dell’assemblea legislativa nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia” (Corte EDU, sez. II, sentenza 14 dicembre 2012, Arras contro Italia, in conformità alla giurisprudenza precedente). Dal canto suo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha costantemente affermato che contro tutti gli atti, anche aventi natura legislativa, “gli Stati devono prevedere la possibilità di accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o ad altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge” (sentenza 16 febbraio 2012, in causa C-182/10, Solvay et al. vs. Région wallone, in conformità alla giurisprudenza precedente). 12.2.– Con riferimento all’individuazione diretta dell’impianto siderurgico della società Ilva di Taranto come “stabilimento di interesse strategico nazionale”, si deve osservare che a Taranto si è verificata una situazione grave ed eccezionale, che ha indotto il legislatore ad omettere, per ragioni di urgenza, il passaggio attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della qualificazione di cui sopra. Sia la normativa generale che quella particolare si muovono quindi nell’ambito di una situazione di emergenza ambientale, dato il pregiudizio recato all’ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante, e di emergenza occupazionale, considerato che l’eventuale chiusura dell’Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone (tanto più numerose comprendendo il cosiddetto indotto)». E veniamo, ora, alla buona notizia, l’ago nel pagliaio di questa sentenza: l’Aia non è una legge, non ha forza di legge, non è blindata e resta un atto amministrativo. Quindi, se non viene applicata, può essere pure revocata. Chiaro? Inteso? «Non ha neppure fondamento l’affermazione, dello stesso rimettente, che vi sia stata una “legificazione” dell’AIA riesaminata, con la conseguenza che contro tale atto amministrativo, nel caso specifico dell’Ilva di Taranto, non sarebbero esperibili i normali rimedi giurisdizionali. È vero, al contrario, che l’AIA è pur sempre – come statuito in via generale dall’art. 1, non contraddetto dall’art. 3 – un presupposto per l’applicabilità dello speciale regime giuridico, che consente la continuazione dell’attività produttiva alle condizioni ivi previste. In quanto presupposto, essa rimane esterna all’atto legislativo, con tutte le conseguenze, in termini di controllo di legalità, da ciò derivanti. Il comma 2 dell’art. 3 richiama l’AIA del 26 ottobre 2012 allo scopo di ribadire lo stretto condizionamento della prosecuzione dell’attività all’osservanza delle nuove prescrizioni poste a tutela dell’ambiente e della salute, ferma restando naturalmente la natura dinamica del provvedimento, che può essere successivamente modificato e integrato, con relativa possibilità di puntuali controlli in sede giurisdizionale. In altri termini, sia la norma generale, sia quella che si riferisce in concreto all’Ilva di Taranto, si interpretano agevolmente nel senso che l’azienda interessata è vincolata al rispetto delle prescrizioni dell’AIA, quale è e quale sarà negli eventuali sviluppi successivi, e che l’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012 non ha precluso né preclude tutti i rimedi giurisdizionali esperibili riguardo ad un atto amministrativo». Altra domanda, nella bocca di tutti: Ma questi semilavorati si possono dissequestrare o no? La Corte dice questo: « 12.3.– Dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 207 del 2012 – che contiene sia la disciplina generale dell’attività degli stabilimenti di interesse strategico nazionale sottoposti ad AIA riesaminata, sia la diretta individuazione dell’Ilva di Taranto come destinataria di tale normativa – il sequestro del materiale prodotto, disposto dal Giudice per le indagini preliminari, e il divieto della sua commercializzazione, hanno perduto il loro presupposto giuridico, che consisteva nell’inibizione, derivante dal precedente sequestro, della facoltà d’uso dello stabilimento. Quest’ultimo infatti trova la sua unica funzione nella produzione dell’acciaio e tale attività, a sua volta, ha senso solo se lo stesso può essere commercializzato». La Corte Costituzionale sente il peso di questa decisione e lo dimostra in questo passaggio: «Né può essere ammesso che un giudice (ivi compresa questa Corte) ritenga illegittima la nuova normativa in forza di una valutazione di merito di inadeguatezza della stessa, a prescindere dalla rilevata violazione di precisi parametri normativi, costituzionali o ordinari, sovrapponendo le proprie valutazioni discrezionali a quelle del legislatore e delle amministrazioni competenti. Tale sindacato sarebbe possibile solo in presenza di una manifesta irragionevolezza della nuova disciplina dettata dal legislatore e delle nuove prescrizioni contenute nell’AIA riesaminata. Si tratta di un’eventualità da escludere, nella specie, per le ragioni illustrate nei paragrafi precedenti, che convergono verso la considerazione complessiva che sia il legislatore, sia le amministrazioni competenti, hanno costruito una situazione di equilibrio non irragionevole. Ciò esclude, come detto prima, un “riesame del riesame”, che non compete ad alcuna autorità giurisdizionale. Si deve ritenere, in generale, che l’art. 1 del d.l. n. 207 abbia introdotto una nuova determinazione normativa all’interno dell’art. 321, primo comma, cod. proc. pen., nel senso che il sequestro preventivo, ove ricorrano le condizioni previste dal comma 1 della disposizione, deve consentire la facoltà d’uso, salvo che, nel futuro, vengano trasgredite le prescrizioni dell’AIA riesaminata. Nessuna incidenza sull’attività passata e sulla valutazione giuridica della stessa e quindi nessuna ricaduta sul processo in corso, ma solo una proiezione circa i futuri effetti della nuova disciplina. La reimmissione della società Ilva S.p.A. nel possesso degli impianti è la conseguenza obbligata di tale nuovo quadro normativo, affinché la produzione possa continuare alle nuove condizioni, la cui osservanza sarà valutata dalle competenti autorità di controllo e la cui intrinseca sufficienza sarà verificata, sempre in futuro, secondo le procedure previste dal codice dell’ambiente». O, ancora, lo fa intendere in un’altra frase significativa del contrasto tra leggi e aspettative, cavilli e fiducia collettiva: «L’avere l’amministrazione, in ipotesi, male operato nel passato non è ragione giuridico-costituzionale sufficiente per determinare un’espansione dei poteri dell’autorità giudiziaria oltre la decisione dei casi concreti. Una soggettiva prognosi pessimistica sui comportamenti futuri non può fornire base valida per una affermazione di competenza».

La sentenza è on line è tutti possono leggerla e farsene un’idea. Cosa succederà ora?

Beh, il cittadino, l’eco sentinella, può continuare a vigilare, affinché questo nuovo punto di equilibrio sulla nuova Aia, Autorizzazione integrata ambientale, possa essere reale. In quanto, cittadini e comunità, si legge nella sentenza: «Sono messi nelle condizioni di poter far valere con mezzi comunicativi, politici e giudiziari, nelle ipotesi di legittimità, i loro punti di vista». La Magistratura, quand’anche dovesse sbloccare il materiale prodotto, in ogni caso può continuare le sue indagini. E le autorità competenti possono scegliere tra diffida e revoca dell’Aia, niente affatto trasformata in legge ma presupposto della legge Salva Ilva. Nel frattempo, chi ha competenze, può progettare una Taranto alternativa e fattibile. Perché, se no, si punterà sempre alla salvezza dello stabilimento siderurgico.

Infine, i parlamentari, croce e delizia, spesso croce…, le leggi le possono sempre abrogare.

Un avvocato contro tutti. Un sit-in di tarantini davanti Montecitorio, il 9 aprile. Si difende la Costituzione Italiana

Tante perplessità investono i tarantini in queste ore, tra sentimenti contrastanti, da quando la Consulta della Corte Costituzionale ha respinto il ricorso dei giudici di Taranto contro la legge “Salva Ilva”. Attendendo le motivazioni ufficiali, quando è stato diramato questo comunicato stampa, lo scoramento aveva preso il sopravvento: “La Corte costituzionale, all’esito dell’udienza pubblica e della camera di consiglio in data odierna, relativamente ai procedimenti r.o. n. 19 e n. 20 del 2013, promossi dal Giudice per le indagini preliminari e dal Tribunale di Taranto, ha ritenuto in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del decreto-legge n. 207 del 2012, conv. dalla legge n. 231 del 2012. La decisione è stata deliberata, tra l’altro, in base alla considerazione che le norme censurate non violano i parametri costituzionali evocati in quanto non influiscono sull’accertamento delle eventuali responsabilità derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni di tutela ambientale, e in particolare dell’autorizzazione integrata ambientale riesaminata, nei confronti della quale, in quanto atto amministrativo, sono possibili gli ordinari rimedi giurisdizionali previsti dall’ordinamento. La Corte ha, altresì, ritenuto che le norme censurate non hanno alcuna incidenza sull’accertamento delle responsabilità nell’ambito del procedimento penale in corso davanti all’autorità giudiziaria di Taranto”.

Quella giornata, quel 9 aprile 2013, l’ho vissuta tra l’udienza pubblica nel Palazzo della Consulta ed il sit-in dei cittadini di Taranto davanti a Montecitorio.

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Palazzo della Consulta della Corte Costituzionale, 9 Aprile 2013, Roma

E vorrei provare a raccontarvela interrogandomi come avrebbe fatto un cittadino qualsiasi.

Il giudice relatore, Silvestri, ha esordito leggendo l’ordinanza di rimessione alla Corte, arrivata da Taranto, da Gip e Procura.

I giudici di Taranto avevano elencato la lista di limiti della legge “Salva Ilva”: la possibilità di continuare a proseguire l’attività illecita per 36 mesi; la discriminazione dei cittadini impossibilitati a fare ricorso in tutela dei propri diritti contro l’Aia rilasciata il 26 ottobre 2012, con apparente forza di legge dello Stato; il notevole sforzo legislativo mirante a favorire l’Ilva a discapito di altre aziende; la violazione di tanti articoli della Costituzione (2, 3, 9, 24, 25, 27, 32, 41, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112, 113, 117; in più in relazione all’articolo 6 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e libertà fondamentali, articoli 3 e 35 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ed articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).

In ballo c’era tanto: il rischio di svuotare di senso la responsabilità penale del sistema dei Riva, l’inibizione ad agire in giudizio, il valore di un ambiente salubre meno importante dell’economia, il principio di precauzione a livello europeo.

Un bel fardello insomma.

Mi sarei aspettata di vedere una folla di persone ad assistere, ed invece c’erano solo, praticamente, gli studenti universitari e qualche giornalista o documentarista.

E mi sarei aspettata di vedere tanti avvocati a sostenere l’incostituzionalità della legge.

Purtroppo, ho appreso, sul posto, come il rispetto delle procedure avesse determinato, al contrario, una disparità di forze.

Un 5+1 contro 1. Mi spiego meglio: dalla parte della legge “Salva Ilva”, ho ascoltato due lunghe arringhe di legali dell’Ilva, più una breve postilla di un terzo legale ed un’altra arringa di Federacciai e Confindustria, in questo ultimo caso non ammessi alla discussione. E la stessa Avvocatura dello Stato era nella sostanza pro Ilva; a difendere la posizione dei giudici di Taranto, è stato ammesso solo l’avvocato degli allevatori, Fornaro, ai quali la diossina ha strappato via gli agnelli, sacrificati come capri espiatori (non ammesso il WWF).

Pensate un po’ come sarebbero cambiate le cose se ci fosse stata la città di Taranto rappresentata, se ci fosse stato il Comune come parte civile fin dagli inizi dell’iter del giudizio principale.

Solo i Fornaro, avevano un interesse qualificato per mandare in Consulta un avvocato.

Solo i Fornaro potevano difendere Taranto.

Una arringa contro tutti, se sommiamo tutte le posizioni di fatto ascoltate (in quanto il WWF non ha argomentato in udienza).

Prima di poter sentire l’arringa dell’avvocato Sergio Torsella, a difesa della Costituzione, dei giudici di Taranto, e della posizione di tutti i cittadini in piazza il 7 aprile a Taranto ed a Roma il 9 aprile, ho dovuto ascoltare una lista di motivazioni filo-acciaio. Federacciai/Confindustria, prima di essere esclusa ha fatto in tempo a raccontare del 25% di entrate garantite dall’Ilva e dalle sue 8 milioni di tonnellate di prodotto, e di come avessero partecipato al processo di formazione della legge Salva Ilva.

Ad uno ad uno, i legali dell’Ilva hanno elencato i loro cavilli. E, ascoltati dall’esterno, impressionavano certi loro argomenti: non c’è un assetto gerarchico nella Costituzione ma un equilibrio di principi, in una dimensione pluralista, ragionevolmente bilanciata, attraverso la coessenzialità; il giudice rimettente non può decidere di considerare prioritaria la “salute” e di non considerare l’Aia;

non c’è compressione del sistema penale durante le indagini preliminari, non c’è contrazione; i giudici di Taranto criticano l’Aia e la legge dello Stato e si impuntano sulle prescrizioni del sequestro assumendosi l’onere di dettare le norme di esercizio dell’attività industriale, negando il valore dell’Aia, attribuendosi un compito non previsto nella Carta Costituzionale, rivendicando un potere inesistente.

Ora, leggete, l’avvocato De Luca, dell’Ilva, ha detto in sintesi questo: “Il diritto alla salute sarebbe un diritto assoluto? Nel mondo moderno, ci sono attività con rischi. Sicuramente, la circolazione stradale di Taranto provoca centinaia di morti. Allora vietiamo la circolazione? I cellulari? Le sigarette? Gli alcolici? Tutte le attività civili? I giudici di Taranto sollevano un principio vetusto, arcaico e l’Ilva non ha mai violato leggi sulle emissioni”. Si….lo ha detto….ed io c’ero. E, quindi, tarantini se vedete slopping, emissioni fuggitive, se le centraline sono ad oltre 15000 metri, e non controllano la notte e costantemente, forse avete avuto le allucinazioni. Forse le abbiamo avute tutti…

Gli avvocati dello Stato, nella sostanza difendevano una legge scritta insieme agli industriali… In sintesi, hanno sostenuto questo: “I magistrati penali di Taranto hanno rivisto le proprie posizioni, hanno sequestrato i prodotti e poi li hanno dissequestrati e messi in vendita, quindi non erano illeciti, come le monete false e le droghe; il legislatore ha dettato regole frutto di valutazioni politiche, e comparazione di interessi; il giudice può solo applicare la legge rigidamente e sequestrare, e solo il Parlamento può dettare le regole in modo elastico. Il giudice di Taranto non può pretendere l’esclusiva della tutela degli interessi assistiti. La tutela preventiva spetta ugualmente al Parlamento ed all’autorità amministrativa. I giudici di Taranto non possono rivendicare questo monopolio”. Ed ancora: “Il Bilanciamento effettuato dal legislatore, nella legge provvedimento-tipo-occorrenza, è adeguato. Il diritto alla salute non può essere mai espresso in termini così assoluti o gerarchici, il provvedimento è un mosaico logico e coerente. La Comunità Europea non ha mai messo l’ambiente al centro, perché lambiva gli interessi del carbone e dell’energia; il principio di precauzione va visto in chiave pragmatica e l’ambiente va collegato nell’ambito del profilo economico produttivo”.

Ecco…a questo punto, finalmente, arriva il momento dell’avvocato Sergio Torsella: “E stata violata la separazione dei poteri, la legge confligge con un provvedimento correttamente emanato. La legge (la Salva Ilva) ha lo scopo di intervenire in modo cogente, il precipuo scopo di intervenire in un procedimento in corso, sopprime la funzione di controllo. Il Ministero avoca le funzioni di controllo su di se. La figura del garante propone misure all’Esecutivo. L’Esecutivo assorbe su di se gli altri poteri. Ma come? Addirittura, nella legge, provvedimenti monocratici del ministro per l’ambiente consentono l’attività produttiva durante i 36 mesi della fase di sequestro. Però, c’è attività criminosa in atto! C’è una irragionevolezza forte nella legge. Non sanziona il disastro. Colpisce le cose lievi e lascia indenni le condotte più gravi in pendenza di Aia. I diritti possono essere bilanciati, ma, in sede di Aia, il gruppo di lavoro ha escluso di doversi occupare del diritto alla salute, allora come fa ad esserci comparazione corretta di interessi? Trenta persone all’anno muoiono di inquinamento perché le regole non vengono rispettate. Non si possono subordinare gli interessi della produzione a due morti al mese. E la Comunità Europea sta già svolgendo delle indagini (entro il 1° aprile l’Italia avrebbe dovuto spiegare il mancato rispetto delle prescrizioni dell’Aia dell’Ilva)”. Ci può essere corretta tutela, concludeva nella sua arringa l’avvocato Torsella, solò se l’Aia non ha forza di legge e si può fare ricorso.

Nel frattempo, i tarantini, tenacemente manifestavano, cantando “Taranto Libera”, strappando ai grillini la promessa di vagliare un dossier e sottoporlo alle commissioni. Perché, il Parlamento le leggi le può abrogare e cambiare, non dimentichiamolo.

A turno, parlavano al megafono ed al microfono (nella didascalia di una delle foto, le parole di Angelo Bonelli) 

 

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Aumenta la folla al sit-in di Montecitorio

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Si attendono parlamentari al sit-in di Montecitorio

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Un appello a Papa Francesco

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Giornalisti delle agenzie stampa cercano di capire

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La maglietta “Taranto Ribellati” ed Angelo Bonelli al Megafono: “Se la Corte Costituzionale si prende la responsabilità di respingere l’istanza dei giudici di Taranto di dichiarare incostituzionale quella legge, si assume la responsabilità di dichiarare Taranto come “zona franca” a beneficio degli inquinatori. In quel caso, la Costituzione non esisterebbe più a Taranto. La Famiglia Riva è stata condannata due volte con sentenze passate in giudicato. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini parla lo stesso linguaggio degli inquinatori”.

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Aggiornamento della situazione, dopo sit-in ed udienza in Corte Costituzionale

Bene, alla fine di questo racconto, spero di poter leggere delle motivazioni interpretative e capaci magari di leggere in una chiave diversa questa legge Salva Ilva ritenuta costituzionale.

E spero di poter rivedere il diritto alla salute dei tarantini, e dei suoi bambini, al centro di tutto, sgombrando il campo da discorsi astratti.

La vita vera non è una lezione universitaria di economia industriale.

A quegli studenti presenti il 9 aprile alla Consulta, suggerirei di visitare il rione Tamburi…

 

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Si trova ai Tamburi di Taranto, tra le case parcheggio.

Si attende la Corte Costituzionale. Nello striscione di alcuni bambini “Solo le nostre mani sulla nostra città”, lo spirito del 7 aprile

Tutto in un corteo. Le morti bianche sul lavoro all’Ilva…

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L’impazienza dei medici e dei pediatri. I genitori sopravvissuti alla malattia di un figlio…..

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Gli allevatori rimasti senza agnelli, capri espiatori sacrificali. I bambini con i loro disegni, le manine colorate ed il loro modo di vedere e raccontare l’inquinamento con un messaggio di speranza.

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La rabbia dei precari ancora in attesa di un lavoro dignitoso e di una conversione economica in direzione delle nuove economie sostenibili. Gli ambientalisti con il peso di anni di denunce ed ecosegnalazioni, impegnati a vivere il presente quasi come se fosse l’ultima battaglia per la tutela della vita e dell’ambiente di Taranto, in nome della quale si sacrificano da anni. Tanti anni. Rinunciando a tutto, forse pure alla felicità piena, inseguendo un sogno.

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Il 7 aprile 2013, alla testa del corteo contro la legge “Salva Ilva”, e pure “Salva Industrie Inquinanti coinvolte in inchieste giudiziarie”, c’era una macchina elettrica ecologica dove Alessandro Marescotti e Luciano Manna avevano la loro regia mobile per la diretta web in streaming. Ai megafoni, Fabio Matacchiera.

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Fotografi, documentaristi e giornalisti ovunque. Ad ognuno il suo click, il suo tweet, il suo post su facebook o sul blog. Quando i manifestanti arrivano in piazza Maria Immacolata, la coda del corteo è ancora all’Arsenale, tutta via Di Palma è piena di gruppi, associazioni, cittadini spontaneamente travolti dal bisogno di manifestare, d’istinto, d’impulso, in una domenica speciale. Questa manifestazione aveva lo scopo di comunicare all’Italia la solidarietà nei confronti dei magistrati di Taranto e l’amore verso la Costituzione Italiana. Il 9 aprile, la legge, definita “Salva Ilva”, finirà sotto l’esame della Consulta della Corte Costituzionale. E ci sarebbero buone probabilità, se la Corte decidesse di pronunciarsi nel merito, di tacciarla di incostituzionalità sul fronte della priorità della salute, dell’ambiente e dell’autonomia della Magistratura. Se questa legge non verrà ritenuta incostituzionale, il sequestro preventivo per disastro ambientale ed avvelenamento doloso dell’area a caldo dell’Ilva verrebbe molto probabilmente vanificato. E, di fatto, ci sarebbe una depenalizzazione dei reati ambientali degli anni di gestione Ilva. Comunque vada a finire, martedì, alcuni esponenti del Comitato 7 aprile costituito appositamente da diverse associazioni faranno un sit-in a Roma e consegneranno ai parlamentari una proposta di legge con un solo articolo: “L’abrogazione della legge ormai nota come Salva Ilva”.

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Nella Piazza della Vittoria, tra le sagome di “Verità per Taranto”, simbolo delle morti dovute all’inquinamento, c’erano tanti sentimenti, compresa l’istanza di giustizia e rispetto degli articoli della Costituzione. E, nell’appello finale di Fabio Matacchiera, sul voto del Referendum del 14 aprile, c’è tutta la rabbia dell’ambientalismo di lungo corso, di chi ha deciso di farsi carico delle sofferenze di chi si sente schiavo e vuole tornare a vivere al grido di “Taranto Libera”. Un urlo pacifico di migliaia di persone – una cifra indefinita di oltre 5000, meno di 10.000 – motivate ed intensamente unite.

Da settimane erano tutti alle prese con i preparativi alla ricerca degli slogan migliori, dei messaggi più efficaci. Adesso gli striscioni e le sagome sono tornati in un angolo di case, uffici, scuole, magazzini. Se necessario, torneranno a sventolare, persino contro il vento di quella tramontana che travolge di polveri rosso brunastre, da anni, gli abitanti dei Tamburi.

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Ordine del Giorno del 9 aprile 2013 in Corte Costituzionale a Roma

Ordine del Giorno della Consulta della Corte Costituzionale

Ordine del Giorno della Consulta della Corte Costituzionale

Articolo pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia del 4 Aprile 2013 su un convegno su ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale e profili di costituzionalità della Salva Ilva.

Nuovo Quotidiano di Puglia, 4 aprile 2013, Convegno su Ordinanza di Remissione in Corte e Profili di Costituzionalità del Salva Ilva

Nuovo Quotidiano di Puglia, 4 aprile 2013, Convegno su Ordinanza di Remissione in Corte e Profili di Costituzionalità del Salva Ilva

#ta7aprile e #Roma9aprile, contro i decreti legge Salva #Ilva. Verso l’udienza pubblica della Corte Costituzionale

Arrivo subito al punto: il 7 aprile 2013 a Taranto ci sarà una grande manifestazione contro la legge “Salva Ilva”, aspettando le decisioni della Corte Costituzionale, il 9 aprile, in un’udienza pubblica, a Roma, sulla possibile incostituzionalità.

http://taranto7aprile.wordpress.com

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http://www.cortecostituzionale.it/documenti/lavori/doc/CC_CL_UP_20130329095719.pdf

Ma…ci sono delle cose che vorrei dire, pensieri che mi frullano per la testa e tenterò di esprimerli senza inutili giri di parole.

Manifestare per la vita umana, la legalità, la tutela contro il proliferare di inquinanti cancerogeni ed avvelenanti.

Manifestare per la cultura del diritto ad un lavoro sicuro, un sindacato realmente vicino alle persone, la costruzione di lavori alternativi attraverso le strade possibili, le conversioni ad esempio.

Queste due esigenze hanno trovato un punto di incontro nel 2012, importante. Perché, per la prima volta, lavoratori in vario modo legati all’universo dell’industria pesante, e famiglie di cittadini ambientalisti, ecologisti, semplicemente persone preoccupate dall’aumento di malattie e morti, specialmente tra i bambini, o dalla crisi della mitilicoltura e degli allevamenti, hanno unito le forze ed hanno tentato di convergere verso obiettivi comuni.

Dal 26 luglio 2012, sequestro preventivo dell’area a caldo dell’Ilva, alla fine dell’anno, c’è stato un progressivo aumento di sit-in, assemblee pubbliche, eventi di sensibilizzazione, alcuni condivisi altri vissuti parallelamente.

In due momenti, le battaglie complementari sono riuscite ad unirsi il più possibile, in una fiaccolata del 5 ottobre 2012, a sostegno di giudici ed in ricordo delle vittime delle malattie, ed in una grande manifestazione del 15 dicembre 2012, con picchi di partecipazione fino a 20.000, o più entusiasticamente 30.000 manifestanti pacifici, secondo alcuni. E chi lo sa.

Tantissimi, in ogni caso, questo non può metterlo in dubbio davvero più nessuno.

Al grido di “Taranto Libera”, si è andati avanti. Con non poche censure mediatiche di quella partecipazione così massiccia.

La trasformazione di un’Aia, Autorizzazione integrata ambientale – rilasciata abusivamente secondo alcuni in quanto l’area a caldo era sotto sequestro – in un decreto, e poi in una legge, denominata “Salva Ilva”, e, diciamolo pure “Salva Industrie se vogliono inquinare e non assumersi le loro responsabilità davanti alla legge”, ha portato la Procura della Repubblica di Taranto a rivolgersi alla Corte Costituzionale, sollevando un incidente di costituzionalità. In sintesi, quella “ormai legge” converte un’Aia – già con forti dubbi di legittimità da una parte – e di fatto blocca l’iter giudiziario seguito ad anni di indagini e perizie.

L’udienza pubblica è vicina, ci siamo, manca davvero poco.

E, così, le diverse sensibilità di Taranto sul problema stanno provando a riunirsi, nuovamente in una nuova grande manifestazione contro qualsiasi legge “Salva Ilva”.

Hanno pensato alla data del 7 aprile 2013 quando dalle 10 di mattina, davanti all’Arsenale di Taranto ci sarà il raduno e poi partirà il corteo verso Piazza della Vittoria.

I media nazionali in passato censurarono le manifestazioni precedenti del 5 ottobre e del 15 dicembre ed ora sarebbero disposti a parlarne, perché sono in forze a Taranto in attesa delle sentenze sul caso Scazzi.

Certo, sarebbe stato corretto e professionale non condizionare la loro presenza e voglia di documentare sul campo ad altra narrazione. Ma spero, a questo punto, in precisi resoconti di quanto avverrà effettivamente domenica prossima, a prescindere dal mio biasimo verso il modo di gestire in passato queste intense prove di partecipazione collettiva e sociale, mai viste a Taranto.

Si, perché, poi, francamente mi annoia sentir dire da giornalisti ed editori che il web toglie loro lettori o spettatori. In quanto, se questo è accaduto è perché la stampa ha lungamente preferito le marchette e la politica, abbandonando i problemi della gente. Ed è davvero una lacrima di coccodrillo poi lagnarsi perché i cittadini hanno imparato ad informarsi da soli, usando web tv in streaming e social. Insomma, cari colleghi, ed editori: avete rotto con la lagna, è stata colpa vostra, pensate piuttosto a rimediare con uno scatto d’orgoglio epocale!

Due giorni dopo il 7 aprile, davanti alla Camera dei Deputati, si prevede un altro sit-in, stavolta a Roma, il 9 aprile, a Roma, a sostegno della Costituzione e degli articoli messi in discussione dal “Salva Ilva”.

Su un binario diverso stavolta, altri gruppi di lavoratori stanno lavorando ad un “1° maggio alternativo ed autorganizzato” e quindi il loro logo non sarà ufficialmente presente il 7 e 9 aprile ma solo il 1° maggio.

Tutto questo non mi sorprende molto, perché la sordità della politica alle istanze dei lavoratori scarica su di loro il peso del ricatto occupazionale e, fino ad oggi, hanno mostrato tanto coraggio e fierezza nell’esporsi.

Molti di loro, probabilmente attendono che qualcuno gli spieghi come dare il loro contributo per risanare e bonificare, in lavori alternativi, ostacolati, e cercano di essere il sindacato che non hanno mai avuto.

Le battaglie, insomma, sono complementari, ma non così divergenti come a qualcuno potrebbe sembrare.

In questo bisogno di impegnarsi parallelamente – senza dunque impedire ai singoli di partecipare, non ce lo dimentichiamo, anzi ricordiamolo – ci vedo l’urgenza di perseguire i due obiettivi senza perdere tempo: da un lato il sostegno morale ad un percorso giudiziario, comunque attraverso iter previsti dalle leggi; dall’altro la necessità di mantenere uniti i lavoratori di Ilva ed indotto disposti a lavori nuovi e puliti che di fatto ancora non sono possibili se non andrà avanti un convinto piano di conversione economica e la politica continuerà ad usare la legge Salva Ilva come la sua ancora di salvezza per non procedere a nuove forme di sviluppo economico alternativo e sostenibile.

Tutto questo, nella città che fu antica capitale della Magna Grecia, dove la mitilicoltura era un vanto, e l’agroalimentare stava raggiungendo risultati superlativi nei circuiti di qualità e slow food…

Ho documentato molto quelle manifestazioni di fine anno e troverete i miei post, però vorrei ricordare le foto simbolo, gentilmente concesse già all’epoca, sulla fiaccolata del 5 ottobre, nello scatto di Simone Mairo e su “Taranto Libera” del 15 dicembre nello scatto di Luca Furlanut.

Fiaccolata dall'alto del balcone di Simone Mairo

Scatto di Simone Mairo, postato su twitter, dal suo balcone, della “Fiaccolata del 5 ottobre per la Magistratura ed in ricordo delle vittime dell’Inquinamento”.

Foto di Luca Furlanut, Riproduzione Vietata.

15 dicembre 2012 – Foto di Luca Furlanut, Riproduzione Vietata.

In un video, Christian Cicala ha provato a realizzare uno spot sul “7 aprile”, utilizzando “A bocca chiusa” di Daniele Silvestri dal quale ha ricevuto un simpatico ringraziamento ed un invito a perseverare per il bene di Taranto.

E non guasta affatto ricordare il video clip di Taranto Libera, degli Artisti Uniti per Taranto…

ed un altro video su tutte le manifestazioni degli anni precedenti, intitolato “Taranto, solo alla fine” di Gerardo Guarini

Sommando tutte queste immagini, si può capire il livello di partecipazione democratica dei tarantini. E, soprattutto, il punto di non ritorno di una comunità che ha capito come informarsi e contrastare ambienti corruttibili e corrotti.

I social network vengono utilizzati molto: facebook per aggregare; instagram per documentare con le foto; twitter per comunicare ad un livello più alto con blog, video ed immagini.

La speranza sarebbe far schizzare subito nei primi 10 posti, tra le tendenze di twitter, gli hashtag specifici: #ta7aprile (in aggiunta a quelli generici usati l’anno scorso, #TarantoLibera, #Taranto, #Ilva); subito dopo #Roma9aprile; e poi, aggiungiamoci pure #referendum14aprile, sul referendum consultivo del 14 aprile nel quale sarà possibile esprimersi sull’Ilva, una data rinviata lungamente fino ad ora, ma questa è un’altra storia…