Torno dopo un po’ di tempo a riflettere nero su bianco sul mio blog, aperto nel 2012, l’anno di tante rivoluzioni sociali e personali. Stavolta, mi soffermo sul corteo nazionale “Noi vogliamo vivere”, organizzato il 4 maggio 2019 a Taranto.
L’idea sarebbe stata iniziare in Piazza Gesù Divin Lavoratore e concludere al tubificio di Arcelor Mittal. Tuttavia, un fuori programma ha imposto una pronta e necessaria retromarcia ed il ritorno al punto di partenza. Se avete pazienza, poi, vi spiego il perché.
I ragazzi, ventenni, trentenni, riuniti in un’assemblea permanente l’8 marzo (una definizione simile era stata usata ai tempi di Officine Tarantine, nei Baraccamenti Cattolica Occupati), avevano provato in due mesi ad organizzare la loro prima iniziativa collettiva a favore di università di Taranto indipendente e sviluppo economico alternativo, contro industrie obsolete e fossili, ex Ilva, Eni, Cemerad ed altre.
Chiedevano e chiedono un’opportunità di restare nella propria terra e non essere costretti a fare la valigia ed emigrare. Le loro linee di azione, ribadite nell’evento su Facebook ed in due pagine, Ancora Vivi e Quattromaggiotaranto, sono: conoscenza, condivisione di saperi ed esperienze, welfare sostenibile sui diritti universali, piani di lavoro alternativi, bonifiche dei territori avvelenati, costruzione di modelli sociali inclusivi, riqualificazione dei quartieri abbandonati e maggiori interventi specializzati nel campo della prevenzione dei danni sanitari connessi a numerosi fattori di pressione ambientale esistenti.
Al corteo, associazioni e cittadini di Taranto si sono unite dietro due striscioni: “Il tempo è scaduto: Cambiamo Taranto” e “Alternative di Sviluppo”.
Seguivano rappresentanze di studenti, movimenti di altre città, sindacati e partiti. Quando tutti erano pronti a sfilare, riempivano l’isolato tra la piazza e via San Francesco D’Assisi. Saranno stati qualche migliaio ed a turno si alternavano ospiti e studenti al microfono.
Ho ascoltato voci di No Tav, No Tap, No Muos, No Triv, Collettivo in Apnea di Manfredonia, Prendocasa di Cosenza e ad un tratto Monica Altamura di Liberiamo Taranto apre una parentesi sulla bellezza di questa città e sul bisogno di narrarla e farla conoscere a tutti.
Chiara rappresentava “Sapienza Clandestina”: «Siamo di Roma ed altre città d’Italia. Ilva, Tap, Tav ledono il nostro futuro. Non si può scegliere tra salute e futuro. Il ricatto non ci sta bene. I danni delle grandi opere non dobbiamo pagarli noi. I ministri di ogni partito hanno disatteso le promesse. La soluzione sono i giovani, le lotte. Taranto ha dimostrato di aver alzato la testa. Scenderemo il 24 maggio in piazza a Roma contro il cambiamento climatico. La lotta continua ed è quotidiana. Le devastazioni nei territori riguardano tutti. Non ci fidiamo più di nessuno».
Luca, toscano, è di Laboratorio Crash di Bologna: «Accumulano banconote sulle nostre tombe, la nostra dignità, la nostra salute. Dobbiamo dire basta alle tante Ilva, di tutta Italia e non soltanto. Lavorare o vivere è una domanda spregevole. Non ce la vogliamo più porre. Le nostre città muoiono di lavoro. Ci vuole una sostenibile transizione ecologica. Devono pagarla loro, i ricchi».
Ludovica, coordinatrice di Unione Studenti Taranto, liceale, ha rilanciato “Da scuole e università, Taranto rinasce” e ha ricordato le scuole chiuse nei giorni di wind days (l’ordinanza in vigore quando soffia il vento di tramontana e trasporta polveri minerarie di carbone): «Siamo studenti e studentesse, i giovani in formazione. Vogliamo un futuro migliore, non fatto di precarietà, che non significhi scappare, perché qui non si può studiare, né fare ricerca (i corsi di laurea, di Dipartimento Universitario Jonico di Uniba, e Politecnico di Bari, sono ritenuti insufficienti). A Taranto non c’è lavoro oltre ex Ilva, Eni e Marina Militare. In questi mesi ed anni, abbiamo gridato di volere una scuola libera, aperta e senza questo mostro. Vogliamo istruzione gratuita, aperta, accessibile e di qualità».
Michael, 21 anni, tra gli organizzatori, ha fatto l’intervento augurale in piazza ed ha parlato di nuovo accanto all’autocarro, vicino all’acquedotto del Triglio, con il djset di musiche a tema (una a caso, “Nella mia città” di Africa Unite): «Iniziamo un percorso. Felicità, quartieri, amore, il bene della comunità. Da qui vogliamo ripartire. Vogliamo aprire uno spazio di discussione di democrazia diretta dove si pratichi la solidarietà collettiva contro un governo fascista, razzista e sessista. Gli abitanti del quartiere quotidianamente resistono alla condanna a morte di uno stato sempre più oscurantista. Da studenti, abitanti, precari vogliamo ripartire. Invitiamo tutti a partecipare il 18 maggio a Roma alla manifestazione contro grandi opere e cambiamento climatico». Ha criticato i sostenitori e firmatari del contratto di Governo tra Movimento Cinquestelle e Lega ed il Pd perché ha emanato i decreti legge salva Ilva: «Le istituzioni non stanno dalla nostra parte. Riconosciamo solo oppressori ed oppressi. Sono uno studente fuori sede a Forlì. Qui, è la mia lotta. Si parte e torna insieme, a pugno chiuso. Non ci interessa il turismo di massa, la speculazione. Ci interessano quartieri, bambini. Vogliamo costituire un osservatorio popolare sui fondi destinati a Taranto (e nel frattempo continuano gli incontri nell’area archeologica delle mura greche o sotto i portici accanto alla Santa Famiglia, alla Salinella). Ci mettiamo la faccia. Non vogliamo le poltrone. A costo di mettere in discussione la mia vita. Il modello di sviluppo lo devono decidere gli abitanti».
Questi sono i sogni di Chiara, Luca, Ludovica, Michael, e potrei aggiungere Giordano, Roberta, Gennaro, Monica e tanti altri. Qual è stato lo sbaglio allora? Sbagliato è stato non essere riusciti a decifrare le diverse motivazioni nel loro corteo. Ad un certo punto, determinati individui si sarebbero schierati e preparati ad attaccare la Polizia. Osservatori hanno definito il loro atteggiamento “militaresco”. Erano di fuori? Erano di Taranto?
Io mi trovavo nel corteo, sotto la pioggia, in veste di giornalista collaboratore di Nuovo Quotidiano di Puglia. Quando eravamo arrivati al ponte sulla carreggiata, in un piazzale di fronte alla Centrale Termoelettrica, poco dopo il coro “Via la Digos, non siamo criminali”, innescato tra le file dei Cobas, alcuni manifestanti hanno tentato di arrampicarsi sui cancelli ed offendere i lavoratori all’interno. I finanzieri li hanno a fatica allontanati, senza cariche né caschi né scudi. Successivamente, il nucleo antisommossa ha alzato gli scudi ed indossato i caschi ed è rimasto in difesa senza reagire. Contemporaneamente, personaggi a volto coperto sparavano petardi, razzi colorati, fumogeni, usavano mazze contro le camionette ed alcuni avrebbero lanciato sassi e bottiglie vuote. Alla fine, sono stati dispersi, di nuovo senza la carica. Ragione? La Polizia non se l’è sentita di caricare i violenti, con tante famiglie e cittadini pacifici, ignari ed innocenti in questa situazione e decisamente troppo vicini all’agone di scontro.
In un verso o nell’altro, nessun presente in buona fede avrebbe mai potuto contestare nulla ai poliziotti, anzi, addirittura, racconterei un paradosso, esponenti di associazioni ritenevano lo schieramento iniziale di poliziotti e finanzieri poco incisivo nel piazzale.
Un fatto è certo, l’azione di questi provocatori, “il pomo della discordia”, ha catalizzato l’attenzione mediatica di organi di informazione tradizionale e mortificato gli scopi di ragazzi organizzatori ed associazioni aderenti in buona fede (su Youtube, la documentazione di Antonello Cafagna)
Io sono sicura, tanti, troppi non erano al corrente di una simile strategia. Le indagini ci aiuteranno a comprendere se era covata in una frangia, disarmonica ed in contrasto con i principi ispiratori mi auguro io. Sarebbe una grossa delusione umana scoprire il coinvolgimento di tanti ragazzi sognatori e delusi. Non voglio crederci. Continuo a seguire il mio istinto ed a credere alla loro autocritica, ribadita tra l’altro sui giornali di oggi, nella speranza di non essere smentita.
L’installazione simbolica di Domenico Campagna, il giorno dopo, ci ricorda il risveglio e fa venire in mente il grido “Tamburi, lotta con noi” e la frase simbolo di oltre 10 anni, “Taranto Libera”.