L’ho appena letto: “Mesoamerica, sulle tracce del serpente piumato”, è on line il booktrailer

Ero proprio curiosa di leggere le avventure raccontate in questo libro di Gaetano Appeso, i suoi racconti di viaggio, tra giungle e siti archeologici in Mesoamerica. Ero curiosa soprattutto perché questi luoghi e le rovine di Maya ed Aztechi mi avevano sempre affascinata, quando ero piccola e vedevo i cartoni animati su Pepero e l’Eldorado e quando sono cresciuta con i primi documentari di archeologia ed i primi film di genere. Lo confesso, ho avuto un dubbio a lungo, sull’esistenza di Vittorio, il compagno di viaggio di Gaetano. Sarebbe stato divertente pensare ad un alter ego, asso nella manica in situazioni bizzarre :-), fino a quando la foto di Vik non si è materializzata accanto a Gae. La narrazione è simpatica, auto ironica, ed unisce aspirazione scientifica a leggerezza, sguardo approfondito a spensieratezza. Questi due esploratori, uno convinto, l’altro non si sa, ti strappano qualche risata e ti conquistano con domande esistenziali o fantascientifiche, davanti a scenari suggestivi, osservati con saggezze sarcastiche.

Lasciatemelo dire, siete due personaggi (ogni tanto, in gran segreto, vi chiedete mai chi ve l’ha fatto fare? Non lo dico a nessuno, giuro e sorrido ripensando all’elegante riflessione dell’ammiraglio, Francesco Ricci su “tali modalità sempre piuttosto avventurose, qualche volta non scevre di pericoli, in un paio di occasioni ai limiti dell’incoscienza”) e già vi vedrei protagonisti di storie a puntate sul confine dell’assurdo. Mi avete attratto e costretto a leggere tutto in poco più di 24 ore, con descrizioni di luoghi, a lungo immaginati, dove magari non andrò mai, chissà. I diritti di autore di Gaetano Appeso, tarantino, verranno interamente devoluti all’Aism, Associazione italiana sclerosi multipla. Allora, buona lettura, buon viaggio con la penna di questo tenente di vascello scrittore e tante di queste storie, in qualche altro angolo di mondo, alla ricerca di misteri o semplicemente di vita, in altre dimensioni, con inimmaginabili compagnie di viaggio e sorprese.

 

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“Taras è Mitologia. Falanto è cronaca”

 

Sarà stato il liceo classico, nascere a Taranto o il destino. Un fatto è certo, nella mia vita, sfogliare libri di mitologia ed epica mi ha sempre incredibilmente affascinata. A catturare la mia attenzione, è stata, negli anni, questa capacità di raccontare attraverso favole leggendarie le gesta storiche del passato. Questo modo di narrare, in tantissimi casi, viene ricordato nei Convegni di Studi sulla Magna Grecia, arrivati alla 56 ª edizione all’inizio dell’autunno scorso. Tra una relazione e l’altra, Paolo De Stefano, storico preside del Liceo Classico Quinto Ennio quando io frequentavo il Liceo Classico Archita, raccontava ai curiosi di un volumetto intitolato “Falanto ed i Parteni”, di Felice Presicci, esortando le scuole ad usarlo nei piani di studio. L’attore Massimo Cimaglia, tra l’altro, ricordava di averlo consultato tantissimi anni fa quando iniziò a lavorare a “Lo Sbarco di Falanto“. A quel punto, la mia curiosità è esplosa ed ho iniziato a cercarlo. Nessuna libreria sapeva nulla e solo gli storici librai di Filippi mi hanno suggerito di rivolgermi direttamente alla casa editrice Piero Lacaita. Faccio una ricerca su internet, lo trovo, lo ordino e finalmente oggi pomeriggio lo leggo. Questo libricino racconta in semplicità la contaminazione di mitologia e storia nella narrazione di Taranto, città dorica e colonia di fondazione spartana. Leggendolo, ti fermi ad immaginare Taras arrivata al suo massimo splendore negli anni di Archita, il Gimnasio, le lezioni di filosofia, scienze, arti, lo sport e l’atletica negli anni di Olimpiadi e Panatenaiche, celebrate nel corredo di anfore dell’Atleta di Taranto, al MarTa. E, tra le righe, apprendi con chiarezza perché le monete magnogreche a volte raffiguravano Taras, eroe mitico, o altre Falanto, ecista storico, sul delfino. Nelle scorse settimane, mi è capitato di osservare le teche dello stesso Museo Archeologico Nazionale di Taranto insieme al professor Aldo Siciliano, presidente dell’Isamg, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, numismatico. Esplorando il secondo piano dedicato alla fondazione spartana, finalmente aperto il 29 luglio dopo tantissimi anni, fu proprio lui ad insegnarmi ad usare la definizione corretta “Giovane sul Delfino” e riportai la sua spiegazione in un pezzo pubblicato su Nuovo Quotidiano di Puglia:  «A volte, raffiguravano Taras, il dio eponimo, altre Falanto, un personaggio storico realmente esistito, uno spartano ecista, fondatore. Nell’immaginario, spesso si equivalgono, però “Taras” è mitologia” e “Falanto” è cronaca». Storici, geografi, drammaturghi di un tempo raccontavano le gesta di questi personaggi, unendo generi narrativi, ed oggi sarebbero le nostre fonti giornalistiche, un concetto davvero suggestivo. Noi giornalisti del 2016, come racconteremmo la storia di “Falanto e i Parteni”? Racconteremmo la storia di pionieri alla conquista del west, donne e uomini liberi, senza vincoli, alla ricerca di un nuovo modo di vivere e progredire. Tanti di noi, si riconoscono in questa dimensione di sognatori in continua ricerca.  

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Il sogno a colori di vivere in una nazione “Rifondata sulla Bellezza”, sulle sponde di “Taranto, la città spartana”

Il tarantino, intristito, arrabbiato, tradito, deluso, ha bisogno di essere spronato.

La vena polemica della città non passa inosservata, nemmeno quando un giornalista viene a Taranto a raccontare le sue ricerche sul potenziale turistico.

Non ho ancora letto il libro di Emilio Casalini, “Rifondata sulla Bellezza”. Avevo letto la sua prima bozza e-book l’anno scorso, ormai rivista, aggiornata, arricchita, rivoluzionata e presentata recentemente: a Taranto, sulle Terrazze Next, nel primo evento di SogniAmo a colori; a Polignano, nella rassegna “Il Libro Possibile”.

Prossimamente, ritornerà in Puglia a presentare il suo libro/inchiesta sul Gargano, il 21 luglio, a Festambiente Sud.

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Progetto Onda Nova

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Emilio Casalini al microfono, sulla destra della fotografia, Rosalba De Giorgi e Marco De Bartolomeo. 

Non si comprende, quando si prova a capire la città, le sue risorse, il suo valore, perché il territorio sia sempre sulla difensiva e diffidente, quando qualcuno tende una mano, lancia uno spunto, un’idea.

Non so se abbia ragione  chi giustifica la reattività del tarantino, dopo anni di dominazioni e colonizzazioni, capaci di radicare nelle sue viscere una sorta di carattere predominante, genetico, irrinunciabile.

Sarà così? Inesorabilmente, anni di emigrazioni hanno favorito la fuga dei cervelli più combattivi?

Eppure, io qualcosa devo ricordarla e continuare a ricordarla.

Negli ultimi 4 anni, ho conosciuto tanti tarantini coraggiosi, tenaci. Loro, sognano, più di me, e credono, più di me, di poter trovare una strada di rinascita, ricostruzione, in grado di diventare un attrattore di economie alternative, pulite, e far migliorare la qualità della vita di tutti, non solo di qualcuno. Ho il dovere di ascoltare, conoscere e far conoscere queste storie. Di teste dure, Taranto, l’antica Taras, polis egemone in Magna Grecia, ha molto bisogno.

Nell’edizione di domenica scorsa, di Nuovo Quotidiano di Puglia, è stata pubblicata una piccola sintesi della serata del 7 luglio 2016.

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Nuovo Quotidiano di Puglia, edizione di Taranto, 10 luglio 2016

“La Memoria dei Vinti”: sopravvissuti nella resilienza e nel proprio riscatto, nel libro di Maristella Massari

Una foto di Marco Stefano Vitiello sullo sfondo durante le dediche ai lettori, alla Libreria Mandese di via D'Aquino a Taranto. Il mio notebook ed il libro sulla tastiera.

Una foto di Marco Stefano Vitiello sullo sfondo durante le dediche ai lettori, alla Libreria Mandese di via D’Aquino a Taranto. Il mio notebook ed il libro sulla tastiera.

Imparerà presto a guardare in faccia il terrore ma non gli darà mai del tu”. Questa frase mi ricorda chi l’ha pensata e caratterizza, secondo me, lo stile di questo ed altri dieci racconti del suo libro, il suo primo libro. Maristella Massari è molto più di una collega, è una collegamica. Il destino ci ha fatto incrociare circa 17 anni fa, sul campo, e ritrovo il suo modo di esporre e narrare le storie, portando la semplicità del linguaggio e della vita nella complessità della storia. Siamo in fondo persone, in ogni momento, perfino quando senza saperlo stiamo entrando in un libro di storia della Grande Guerra o della Seconda Guerra Mondiale. La citazione si trova a pagina 14 del libro, di Mandese Editore, intitolato “La memoria dei vinti”, quando si parla del soldato di fanteria del 15/18, Vincenzo Antonucci, nel racconto “La Paura della Neve”. Il primo di 10 capitoli, letti tutto d’un fiato in un pomeriggio libero, sui ricordi di chi rappresenta chi ha perso, se guardiamo gli eventi con lo sguardo rigoroso della storiografia, chi ha vinto la battaglia dell’esistenza e della sopravvivenza se spostiamo l’attenzione sul valore umano personale e sulle scelte di fronte alle quali ognuno può trovarsi, quando si può decidere, davanti ad un bivio, tra il bene ed il male, ad esempio. Tenendo ben presente il periodo storico, le sue regole, i suoi valori. Riflettendo sui pensieri di chi spesso si è sentito pedina di un ingranaggio, del quale faceva a fatica a capire le chiavi di decifrazione. Pagina dopo pagina, l’osmosi del confronto tra cronista ed intervistati fa emergere le valutazioni storiche sugli errori della Grande Guerra e del Fascismo e la sua “start up per la conquista della terra, per l’espansione coloniale ad est”, una terminologia degna di un nerd digitale capace di creare uno stargate ( e qui mi diverto pure io) tra gli occhi dei nonni ed il mondo dei nipotini, nel capitolo intitolato “La medaglia sulla pelle”, dedicato al carabiniere reale del secondo conflitto mondiale, Giovanni Cervellera, internato a Mitrovica dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943. Mi intenerisce pensare al parallelismo tra le piccole vicende personali evocate nel racconto su Ercole Palermo “Il soldato con i gradi da sergente”, ed i “mattoncini delle costruzioni dei bambini, uno sopra l’altro, guardate da lontano, lasciate decantare nel catino del tempo (…)”. I suoi figli ci sono, nel libro, nella mente, nelle speranze, nell’associazione di idee, nella dedica “A Federica, Marco e Francesco, che possano tessere con amore il filo della memoria, perché dipanandolo, ovunque li porterà la vita, ritroveranno sempre la strada di casa”.

La storia di Cefalonia, lo confesso, mi ha sempre affascinata e custodisco il desiderio di andarci molto presto, di persona. Ricordo, tra l’altro, il bel film “Il mandolino del Capitano Corelli”. Letteratura e cinema, arti e musica, possono essere infatti forme di narrazione storica al di la dei saggi e dei volumi ufficiali.

Il VI capitolo è dedicato a “Taranto-Cefalonia, Andata e ritorno” ed alla medaglia molto tardiva a Francesco Zizzari, marinaio tarantino, della così definita “Resistenza militare con le stellette”, degli italiani lasciati soli a fare la scelta, la scelta giusta, secondo me, secondo molti. I miei brevi cenni sui racconti di resilienza, racchiusi in questo libro, terminano qui con l’augurio di buona lettura a chi vorrà approfondire.