La voglia di libertà si infrange nei CIE: “Eu 013 L’Ultima Frontiera”

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Il mondo con gli occhi di chi finisce in un Cie, Centro di identificazione ed espulsione, è uno strano mondo, insensato, incastrato in un meccanismo contorto, fine a se stesso, forse funzionale a qualche entità del Terzo Settore, mai alla risoluzione dei problemi. Un limbo compresso tra l’inferno alle spalle ed il paradiso sognato. Può durare mesi, anni. E la permanenza dipende spesso dagli accordi bilaterali, sui rimpatri forzati dei migranti irregolari e clandestini, tra Italia ed alcuni paesi nord africani, essenzialmente dell’area del Maghreb, come Tunisia, Algeria, Marocco. “Eu 013: L’Ultima Frontiera”, il film documentario di Raffaella Cosentino ed Alessio Genovese, regista, presentato il 5 marzo 2014 nella sala della Protoemoteca del Campidoglio di Roma, racconta questa prospettiva, questo punto di vista, di chi spesso rischia di impazzire in giornate tutte uguali a se stesse, dalle sbarre dei Cie di Bari, Trapani, Roma. Arrivano in Italia clandestinamente, senza visto, perché i loro Paesi non favoriscono l’emigrazione. Oppure diventano irregolari in Italia, quando perdono il diritto al permesso di soggiorno. E, tra le storie raccontate nel film documentario, non lascia indifferenti il caso di un giovane vissuto tutta la vita in Italia, senza cittadinanza: espulso in Tunisia, adulto, al primo problema con la giustizia, accusato di aver commesso un reato minore; tornato in Italia clandestinamente e poi finito al Cie di Bari, parlando un perfetto italiano e con tutta la famiglia e gli amici in Italia. Un paradigma di storie molto simili di chi nei Cie riesce ad arrivare da clandestino o irregolare, spesso dopo un periodo di detenzione in carcere. Vorrebbero fare qualsiasi lavoro, tuttavia non riescono a trovarlo con i permessi temporanei, e restano intrappolati in un status di clandestinità imposta e permanente.

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Sequenza durante la proiezione in Campidoglio.Tipico Cie, con sbarre gialle.

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5 Marzo 2014, Campidoglio, Roma, Raffaella Cosentino, Alessio Genovese, la moderatrice Luciana Cimino, Erica Battaglia, Gianluca Peciola, Stefano Galieni

Raffaella ed Alessio hanno raccontato le storie di chi cerca di arrivare a Fiumicino o al Porto di Ancona, non solo di chi arriva con i barconi degli scafisti, imbarcandosi in Libia alla volta di Lampedusa. E, soprattutto, hanno voluto accendere una luce su chi permane e vegeta nei Cie, dove è sempre stato molto difficile entrare e capire in quali condizioni vivessero i migranti, non tanto sulle procedure e sulla burocrazia di ogni singolo caso, ogni singola storia umana. Il principio di fondo è la presa di posizione contro l’esistenza stessa dei Cie, capaci di spegnere i sogni di libertà di migliaia di migranti, spesso colpevoli solo di aver voluto cercare fortuna in Italia. In tanti possono arrivare a restare nelle maglie dei Cie a lungo, 18 mesi e forse più. L’Italia non li fa uscire. Il loro Paese non li riaccoglie e così la detenzione amministrativa assomiglia ad un ergastolo senza processo. Chiaramente, scavando nella storia di ognuno, verrebbero fuori tante differenze. Eppure, è chi non merita questo trattamento a soffrire di più ed ingiustamente ed il sistema non sembra in grado di fare le opportune diversificazioni, bloccato in una sabbia mobile di routine. Alla proiezione del Campidoglio, c’era Stefano Galieni, della campagna “LasciateCIEntrare”, riuscito ad entrare nei Cie, in diversi modi, accompagnando parlamentari o associazioni di volontariato: «Il Cie doveva essere l’estrema ratio, non un luogo di detenzione di 18 mesi. A Ponte Galeria, a Roma, ci sono stato almeno 25 volte. Questo posto non è migliorabile. Ci guardano con diffidenza perchè non cambia niente. Si è creato un muro tra mondi diversi. Dovremmo poterci entrare sempre senza dover aspettare l’autorizzazione di una Prefettura». Raffaella Cosentino ha tentato un collegamento con Lassaad, ancora nel girone dei Cie, senza fortuna (il 19 marzo 2014, su fb, l’autrice ha annunciato il suo ritorno alla libertà, ndc), volendo lanciare un messaggio simbolico importante dalla sala del Comune di Roma. Alessio Genovese definisce i Cie incomprensibili per la mente umana ed individua già nella legge Turco/Napolitano il principio di discutibili politiche migratorie confluite nella Bossi/Fini. Il regista propone una strategia culturale alternativa ad un certo protezionismo culturale dell’Europa. 

Nella mia esperienza di giornalista, mi è capitato di raccontare il fenomeno della migrazione, sotto il profilo delle attività della Marina Militare. Ad esempio quando nel 2011 tanti tunisini arrivarono a Manduria, dopo la tappa alla Base Navale Mar Grande di Taranto, raccontando di essere stati costretti ai viaggi clandestini perché il visto veniva negato. In quel caso, in realtà, volevano andare oltre confine e si assisteva al paradosso di fughe quasi tollerate affinché questi migranti potessero poi arrivare in Belgio o Francia o Svizzera, perché non avevano alcuna intenzione di chiedere la protezione internazionale in Italia, e non erano nemmeno profughi di zone di guerra come la Libia in quel momento critico. O, recentemente, mi sono occupata del ritorno di Nave San Marco da “Mare Nostrum”: missione umanitaria di soccorso a migranti, spesso siriani o subsahariani, dei viaggi della speranza nei barconi degli scafisti; e militare mirante all’individuazione ed arresto degli scafisti delle organizzazioni criminali. 

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Nuovo Quotidiano di Puglia, 26 Febbraio 2014

Ho potuto notare forti perplessità, specie dei politici del Comune di Roma (in particolare Gianluca Peciola di Sel, presente insieme ad Erica Battaglia, presidente Commissione Politiche Sociali e Francesco D’Ausilio, capogruppo Pd,), e del regista stesso del film documentario, sull’utilità di Mare Nostrum. Dal canto mio, ascoltando le testimonianze del team del San Marco, in sinergia con la fondazione Francesca Rava, Croce Rossa, Protezione Civile, mi chiedo cosa si possa trovare di discutibile nelle operazioni di soccorso quasi settimanali ai migranti di barconi e gommoni, questi ultimi senza giubbotti di salvataggio, specialmente dopo la strage in mare del 2013.

Mare Nostrum, Soccorsi di Nave San Marco. Fonte: Marina Militare

Mare Nostrum, Soccorsi di Nave San Marco. Fonte: Marina Militare

Mare Nostrum, San Marco

Mare Nostrum, Soccorsi di Nave San Marco. Fonte: Marina Militare

Quindi, è forse il sistema, appunto, il problema, il nocciolo della questione, ovvero un ingranaggio voluto da alcuni governi e tollerato da altri, dove se alla Marina non fosse stato chiesto di avviare il pattugliamento insieme a Guardia di Finanza e Guardia Costiera, con il supporto di un pattugliatore della Slovenia e basta, a proposito di Europa, sarebbe Lampedusa a dover affrontare questi esodi continui e sappiamo tutti cosa accadde quasi tre anni fa. L’Italia è un Paese capace solo di unirsi nell’emergenza, e non di coalizzarsi nella cooperazione e pianificazione. E come si ipotizzava all’incontro al Campidoglio, se si rilasciasse il visto a questi migranti con accordi speciali non sarebbero costretti alla vita di migranti clandestini ed irregolari. Perché si può impedire ad un essere umano di sognare una vita migliore ed emigrare? No, non si può, tenterà sempre di provarci…come tanti italiani hanno fatto nei secoli passati.