La felicità sociale di Procida 2022 contagerà, un giorno, Taranto?

Mi sono ritrovata davanti ad un foglio bianco e mi sono chiesta: Perché Procida è stata proclamata Capitale Italiana della Cultura 2022?
E mi sono risposta: Perché a Procida hanno inventato una metodologia “La cultura non isola”.
Non sono più belli, più storici, più antichi, più archeologici, più accademici, più musicali, più museali.
Hanno piuttosto iniziato a creare un metodo di inclusione culturale, l’hanno narrato in modo poetico, lo consegneranno ai posteri ed altre isole, e l’hanno comunicato, visivamente, attraverso la loro stessa comunità, senza sceneggiature e rappresentazioni, in un’audizione moderna, innovativa, efficace, esaustiva nel tempo a disposizione.
E, così, hanno suscitato nella giuria l’aggettivo “impressionante”.
Ho analizzato i tratti salienti di tutti i progetti culturali (Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Soligo, Procida, Taranto, Trapani, Verbania, Volterra).
Resilienza, riscatto, lacrime, ferite, passato, traumi, attuazione di Agenda 2030, richiesta nel bando e presente in ogni dossier di candidatura, storia, bellezza, non hanno determinato la scelta tra le dieci città finaliste.
È stata la felicità sociale e multiculturale, unita alla proiezione internazionale sbalorditiva, a far vincere Procida, oltre ad una co-creazione credibile ed a lungo termine: “Il progetto culturale – si legge nella motivazione ufficiale – presenta elementi di attrattività e qualità di livello eccellente. Il contesto di sostegni locali e regionali pubblici e privati è ben strutturato, la dimensione patrimoniale e paesaggistica del luogo è straordinaria, la dimensione laboratoriale, che comprende aspetti sociali e di diffusione tecnologica è dedicata alle isole tirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee. Il progetto potrebbe determinare, grazie alla combinazione di questi fattori, un’autentica discontinuità nel territorio e rappresentare un modello per i processi sostenibili di sviluppo a base culturale delle realtà isolane e costiere del paese. Il progetto è inoltre capace di trasmettere un messaggio poetico, una visione della cultura, che dalla piccola realtà dell’isola si estende come un augurio per tutti noi, al paese, nei mesi che ci attendono. La capitale italiana della cultura 2022 è Procida”.
Ha vinto la capacità di far sognare una comunità diffusa tra Procida e la città metropolitana di Napoli, con azioni tangibili e miglioramenti progressivi di condizioni e stili di vita e mi colpisce l’organizzazione di una cerimonia di apertura estesa, in parte, all’ex area industriale siderurgica di Bagnoli.
Il progetto culturale ideale, dunque, avrebbe dovuto ideare un meccanismo culturale capace di resistere dopo l’anno di eventi legati alla “Capitale italiana di Cultura”, lasciare in eredità un indotto indipendente, sostenibile economicamente, far girare l’economia, avere ancora senso visceralmente accettato in avvenire.
Il progetto culturale di “Taranto e Grecìa Salentina” lasciava presagire felicità sociale, unità, condivisione, continuità nel tempo, sogno?
Nel dossier di candidatura – e sorvolo su alcune presunte definizioni storiche o toponomastiche trovate al suo interno in questo momento – c’era l’esperienza laboratoriale di Porta Napoli, in ex capannoni portuali protagonisti di fermento e creatività. Forse, andava messa sotto un riflettore?
Il nesso con la Grecìa Salentina, esaltato in recenti ricerche, ancora in corso e quindi non note al pubblico, magari andava spiegato nei mesi precedenti, in occasioni di respiro internazionale e messo a confronto con la vicina comunità arbëreshe, di origine albanese, di San Marzano di San Giuseppe?
In entrambi i casi, sarà mancata la voglia di osare e narrare nel filmato, di fatto anima sintetica, subito in vista, di un progetto culturale? Invece, circoscritta ad una cartolina malinconica sul passato?
C’era il futuro? C’erano i giovani innovatori?
Ho ricordato il valore civico e solidale dimostrato dopo il 2014, l’accoglienza di migranti sbarcati a Taranto, negli anni di Mare Nostrum. L’umanità spontanea che emerse fu ribattezzata #LaTarantoMigliore. Forse andava lasciata una traccia di quell’esperienza memorabile?
Chissà, chissà, e, ancora, chissà.
Un passaggio, letto nel dossier di candidatura di “Taranto e Grecìa Salentina, capitale italiana della Cultura”, mi aveva fatto viaggiare nel tempo e nella fantasia: “(…)Profonde connessioni antropiche e storico culturali riguardano, ancora oggi, i Greci del Salento, che si riferiscono alla città di Taranto chiamandola Tarànto. Questa riflessione linguistica, che riprende l’antica accentuazione Greca, rende facile comprendere anche la genesi del nome tarànta che nell’area ellenofona fa riferimento contemporaneamente al ragno ed alla stessa danza. E si ritornava, così, anche a Tarànto/Taranto, da dove tutto era cominciato, da dove erano apparse quelle prime baccanti spartane che inneggiavano al dio del vino. È nella prospettiva di un ritorno al ruolo principale di faro della grecità del Sud Italia e di centro propulsore delle attività culturali che Taranto e la Grecìa Salentina si uniscono nel segno di un passato ampiamente condiviso (…)”.
In questo riferimento, si evocano, in silenzio, Taras, polis magnogreca, fondazione di esuli spartani (o gente di Laconia, così chiamati nelle descrizioni storiche di questo dossier) di Falanto, l’ecista fondatore storico, non una figura mitologica inventata, e le presenze bizantine all’origine di successive comunità ellenofone e lingua grika.
Ognuno potrà leggerlo e fare le sue riflessioni.
I pazzi sognatori di Taranto ci sono, vogliono fare la differenza, e, però, lasciatemelo scrivere, devono poter contare su una volontà politica che consenta di ricostruire uno sviluppo alternativo, co-progettare la riconversione e via d’uscita industriale, altrimenti, le giuste lezioni di sogni e felicità, un giorno, appariranno un tantino beffarde.
Le numerose Taranto esistenti, nel frattempo, Taras greca, Tarentum romana, Taranto bizantina, Taranto medievale, Taranto città dei due mari, Taranto Terra Jonica, Taranto la città spartana, Taranto capitale di mare (Ho scordato qualcosa?), la Taranto di devozione e pietà popolare, devono imparare a rispettarsi, parlarsi, trovare qualcosa di convergente. Utopia, no? Potrebbero iniziare semplicemente a fare pace con il toponimo più popolare, storico, innato, e, abbiate l’onestà intellettuale di ammetterlo ed accettarlo, radicato, Taranto Vecchia.

In orbita, sulle sponde mediterranee di Taras, in Magna Grecia

Un gruppo di ragazzi faceva un bagno al tramonto la prima volta, ieri sera. Ora dovrebbero essere tornati a casa. Mi inteneriva la loro emozione. Loro, erano atterrati nella mia orbita, su uno scivolo di Torre Blandamura, e sarebbero ripartiti il giorno successivo e spero possano ritrovare questo luogo così, in futuro, né trasformato, né distrutto ed offeso. Poco prima, una brezza di tramontana aveva accarezzato la mia nuotata rigenerante. 

Orbita? Si, viviamo tutti in un’orbita e sto riflettendo su questo.

Ognuno di noi, specialmente quando inizia a fare bilanci esistenziali su fallimenti, errori, sfortuna, risultati, se ci sono stati, bivi, deviazioni, si ritrova a fare i conti con la propria orbita, un itinerario inconsapevole, una rotta verso non si sa cosa, più forte di qualsiasi decisione, meta, obiettivo, ambizioni.

Tutto funziona solo se è nella tua orbita, altrimenti vivrai una parentesi, il tempo di atterrare, e poi ripartirai e viaggerai.

La mia motivazione resta sempre al curiosità, alleata eterna.

Rifletto spesso sull’amicizia e sugli amici e ritrovo l’amicizia in tante situazioni o esperienze amichevoli. Non ritrovo invece gli amici, perché la loro orbita non era la stessa e, via via, restano sempre nei ricordi di una fase di coincidenza di circostanze, fuori controllo.

Il proprio posto di cuore o battaglie quotidiane diventa necessario e solo se i due punti in questa orbita coincidono saranno possibili condivisione e complicità.

Caparbiamente, non siamo più disposti ad atterrare, se non vogliamo farlo fino in fondo, e continuiamo a volare, fino alla prossima fermata o incontro.

Una forza superiore ci guida verso una meta, un luogo, uno scoglio, una spiaggia, una città, un continente, ed allo stesso tempo ci frena e non ci consente di esorbitare.

“Ancora Vivi”, dopo il 4 maggio in corteo ai Tamburi: i pomi di discordia

Torno dopo un po’ di tempo a riflettere nero su bianco sul mio blog, aperto nel 2012, l’anno di tante rivoluzioni sociali e personali. Stavolta, mi soffermo sul corteo nazionale “Noi vogliamo vivere”, organizzato il 4 maggio 2019 a Taranto.

L’idea sarebbe stata iniziare in Piazza Gesù Divin Lavoratore e concludere al tubificio di Arcelor Mittal. Tuttavia, un fuori programma ha imposto una pronta e necessaria retromarcia ed il ritorno al punto di partenza. Se avete pazienza, poi, vi spiego il perché.

I ragazzi, ventenni, trentenni, riuniti in un’assemblea permanente l’8 marzo (una definizione simile era stata usata ai tempi di Officine Tarantine, nei Baraccamenti Cattolica Occupati), avevano provato in due mesi ad organizzare la loro prima iniziativa collettiva a favore di università di Taranto indipendente e sviluppo economico alternativo, contro industrie obsolete e fossili, ex Ilva, Eni, Cemerad ed altre.

Chiedevano e chiedono un’opportunità di restare nella propria terra e non essere costretti a fare la valigia ed emigrare. Le loro linee di azione, ribadite nell’evento su Facebook ed in due pagine, Ancora Vivi e Quattromaggiotaranto, sono: conoscenza, condivisione di saperi ed esperienze, welfare sostenibile sui diritti universali, piani di lavoro alternativi, bonifiche dei territori avvelenati, costruzione di modelli sociali inclusivi, riqualificazione dei quartieri abbandonati e maggiori interventi specializzati nel campo della prevenzione dei danni sanitari connessi a numerosi fattori di pressione ambientale esistenti.

Al corteo, associazioni e cittadini di Taranto si sono unite dietro due striscioni: “Il tempo è scaduto: Cambiamo Taranto” e “Alternative di Sviluppo”.

Seguivano rappresentanze di studenti, movimenti di altre città, sindacati e partiti. Quando tutti erano pronti a sfilare, riempivano l’isolato tra la piazza e via San Francesco D’Assisi. Saranno stati qualche migliaio ed a turno si alternavano ospiti e studenti al microfono.

Ho ascoltato voci di No Tav, No Tap, No Muos, No Triv, Collettivo in Apnea di Manfredonia, Prendocasa di Cosenza e ad un tratto Monica Altamura di Liberiamo Taranto apre una parentesi sulla bellezza di questa città e  sul bisogno di narrarla e farla conoscere a tutti. 

Chiara rappresentava “Sapienza Clandestina”: «Siamo di Roma ed altre città d’Italia. Ilva, Tap, Tav ledono il nostro futuro. Non si può scegliere tra salute e futuro. Il ricatto non ci sta bene. I danni delle grandi opere non dobbiamo pagarli noi. I ministri di ogni partito hanno disatteso le promesse. La soluzione sono i giovani, le lotte. Taranto ha dimostrato di aver alzato la testa. Scenderemo il 24 maggio in piazza a Roma contro il cambiamento climatico. La lotta continua ed è quotidiana. Le devastazioni nei territori riguardano tutti. Non ci fidiamo più di nessuno».

Luca, toscano, è di Laboratorio Crash di Bologna: «Accumulano banconote sulle nostre tombe, la nostra dignità, la nostra salute. Dobbiamo dire basta alle tante Ilva, di tutta Italia e non soltanto. Lavorare o vivere è una domanda spregevole. Non ce la vogliamo più porre. Le nostre città muoiono di lavoro. Ci vuole una sostenibile transizione ecologica. Devono pagarla loro, i ricchi».

Ludovica, coordinatrice di Unione Studenti Taranto, liceale, ha rilanciato “Da scuole e università, Taranto rinasce” e ha ricordato le scuole chiuse nei giorni di wind days (l’ordinanza in vigore quando soffia il vento di tramontana e trasporta polveri minerarie di carbone): «Siamo studenti e studentesse, i giovani in formazione. Vogliamo un futuro migliore, non fatto di precarietà, che non significhi scappare, perché qui non si può studiare, né fare ricerca (i corsi di laurea, di Dipartimento Universitario Jonico di Uniba, e Politecnico di Bari, sono ritenuti insufficienti). A Taranto non c’è lavoro oltre ex Ilva, Eni e Marina Militare. In questi mesi ed anni, abbiamo gridato di volere una scuola libera, aperta e senza questo mostro. Vogliamo istruzione gratuita, aperta, accessibile e di qualità». 

Michael, 21 anni, tra gli organizzatori, ha fatto l’intervento augurale in piazza ed ha parlato di nuovo accanto all’autocarro, vicino all’acquedotto del Triglio, con il djset di musiche a tema (una a caso, “Nella mia città” di Africa Unite): «Iniziamo un percorso. Felicità, quartieri, amore, il bene della comunità. Da qui vogliamo ripartire. Vogliamo aprire uno spazio di discussione di democrazia diretta dove si pratichi la solidarietà collettiva contro un governo fascista, razzista e sessista. Gli abitanti del quartiere quotidianamente resistono alla condanna a morte di uno stato sempre più oscurantista. Da studenti, abitanti, precari vogliamo ripartire. Invitiamo tutti a partecipare il 18 maggio a Roma alla manifestazione contro grandi opere e cambiamento climatico». Ha criticato i sostenitori e firmatari del contratto di Governo tra Movimento Cinquestelle e Lega ed il Pd perché ha emanato i decreti legge salva Ilva: «Le istituzioni non stanno dalla nostra parte. Riconosciamo solo oppressori ed oppressi. Sono uno studente fuori sede a Forlì. Qui, è la mia lotta. Si parte e torna insieme, a pugno chiuso. Non ci interessa il turismo di massa, la speculazione. Ci interessano quartieri, bambini. Vogliamo costituire un osservatorio popolare sui fondi destinati a Taranto (e nel frattempo continuano gli incontri nell’area archeologica delle mura greche o sotto i portici accanto alla Santa Famiglia, alla Salinella). Ci mettiamo la faccia. Non vogliamo le poltrone. A costo di mettere in discussione la mia vita. Il modello di sviluppo lo devono decidere gli abitanti».

Questi sono i sogni di Chiara, Luca, Ludovica, Michael, e potrei aggiungere Giordano, Roberta, Gennaro, Monica e tanti altri. Qual è stato lo sbaglio allora? Sbagliato è stato non essere riusciti a decifrare le diverse motivazioni nel loro corteo. Ad un certo punto, determinati individui si sarebbero schierati e preparati ad attaccare la Polizia. Osservatori hanno definito il loro atteggiamento “militaresco”. Erano di fuori? Erano di Taranto?

Io mi trovavo nel corteo, sotto la pioggia, in veste di giornalista collaboratore di Nuovo Quotidiano di Puglia. Quando eravamo arrivati al ponte sulla carreggiata, in un piazzale di fronte alla Centrale Termoelettrica, poco dopo il coro “Via la Digos, non siamo criminali”, innescato tra le file dei Cobas, alcuni manifestanti hanno tentato di arrampicarsi sui cancelli ed offendere i lavoratori all’interno. I finanzieri li hanno a fatica allontanati, senza cariche né caschi né scudi. Successivamente, il nucleo antisommossa ha alzato gli scudi ed indossato i caschi ed è rimasto in difesa senza reagire. Contemporaneamente, personaggi a volto coperto sparavano petardi, razzi colorati, fumogeni, usavano mazze contro le camionette ed alcuni avrebbero lanciato sassi e bottiglie vuote. Alla fine, sono stati dispersi, di nuovo senza la carica. Ragione? La Polizia non se l’è sentita di caricare i violenti, con tante famiglie e cittadini pacifici, ignari ed innocenti in questa situazione e decisamente troppo vicini all’agone di scontro.

In un verso o nell’altro, nessun presente in buona fede avrebbe mai potuto contestare nulla ai poliziotti, anzi, addirittura, racconterei un paradosso, esponenti di associazioni ritenevano lo schieramento iniziale di poliziotti e finanzieri poco incisivo nel piazzale.

Un fatto è certo, l’azione di questi provocatori, “il pomo della discordia”, ha catalizzato l’attenzione mediatica di organi di informazione tradizionale e mortificato gli scopi di ragazzi organizzatori ed associazioni aderenti in buona fede (su Youtube, la documentazione di Antonello Cafagna)

Io sono sicura, tanti, troppi non erano al corrente di una simile strategia. Le indagini ci aiuteranno a comprendere se era covata in una frangia, disarmonica ed in contrasto con i principi ispiratori mi auguro io. Sarebbe una grossa delusione umana scoprire il coinvolgimento di tanti ragazzi sognatori e delusi. Non voglio crederci. Continuo a seguire il mio istinto ed a credere alla loro autocritica, ribadita tra l’altro sui giornali di oggi, nella speranza di non essere smentita.

L’installazione simbolica di Domenico Campagna, il giorno dopo, ci ricorda il risveglio e fa venire in mente il grido “Tamburi, lotta con noi” e la frase simbolo di oltre 10 anni, “Taranto Libera”. 

 

Film in riva al mare: Spiaggetta Club di Taranto nel Circuito D’Autore Estate

Tra 28 sale cinematografiche, inserite nel “Circuito d’Autore Estate” di Apulia Film Commission in Puglia, c’è la “Spiaggetta Club”. Quando l’ho scoperto, ho iniziato subito ad immaginare dove avrebbero installato lo schermo e mai avrei intuito di trovarlo esattamente al centro del bagnasciuga di una spiaggia dunale, nell’isola amministrativa di Taranto.

Conoscendo quei pazzi sognatori di Adriano e Luciano Di Giorgio – uno è proprietario del Cinema Teatro Orfeo – avrei dovuto arrivarci, eppure la sorpresa c’è stata.

Hanno tranquillamente consentito a tutti i bagnanti incuriositi di trattenersi oltre l’orario di apertura, dopo una calda giornata di mare, ed alle 21 i bagnini hanno iniziato a gonfiare letteralmente, si gonfiare, lo schermo, alla stregua di un materassino.

In pochi minuti, lo schermo era pronto ed ancorato ed ha resistito pure ad una imprevista raffica di vento, quando sulla guardiola di avvistamento sventolava bandiera bianca.

Gli spettatori, il 10 agosto, hanno visto “Metti la nonna in freezer”, commedia sociale, grottesca, surreale, opera prima di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, rivelatrice di una vita di mezzo dove ogni giorno provano a resistere tanti, “non più giovani”, giovani professionisti, eternamente precari, in una società dove bisogna inventarsi il mestiere e non si riesce più ad eguagliare i guadagni di generazioni precedenti e pensionati di oggi.

Lo hanno fatto comodamente sdraiati sui lettini, e, dopo pochi minuti, nessuno più pensava alle Perseidi, in fondo il picco di stelle cadenti ci sarebbe stato tra il 12 ed il 13 agosto.

L’operazione è stata completamente sostenibile, perché a fine proiezione lo schermo è stato sgonfiato e riposto in cabina.

Il critico cinematografico, Guido Gentile, ha introdotto e chiuso la serata: «Il film di due registi esordienti riprende uno spunto di cronaca. Può sembrare folle, pare sia successo a Cuneo. Il passo narrativo, in chiave romanzata, di questi nuovi registi cresciuti con un ritmo nella testa molto americano riprende la commedia all’italiana ed ha una chiave di “black commedy”, insolita nella cinematografia italiana. Le situazioni sono al limite del paradossale, con un pizzico di macabro. Geniale regalare questo ruolo a Barbara Bouchet. La commedia è romantica e rovescia i giochi di forza…(…)».

Ps: Lo stesso, in questo periodo sta conducendo “Gli incontri con il critico” al Maxxi Village in via Lago di Pergusa 55.

“Maredentro”: il viaggio di Bungaro ha fatto sognare la costa di Mar Grande a Taranto

Donare poesia è una buona azione.

Il 22 luglio, in un tratto di costa tarantina dimenticato, affacciato sui chiaroscuri di Isole Cheradi ed industria pesante, le note di Bungaro, Raffaele Casarano e tutti i musicisti hanno fatto sognare, commuovere, emozionare, nei pressi di Praia a Mare.

L’universo umano davanti ai suoi occhi era meraviglioso, osservava il cantautore, il mondo sull’altro versante occidentale, rifletteva, “un po’ meno”.

Io c’ero, al Locomotive Jazz Festival, ed ho assistito ad una dimensione di racconti e canzoni, tanto vicina al mondo di un cantastorie, alla ricerca di verità e fantasia tra le persone.

Grazie

Teatro Fusco: Si chiede chiarezza sulla gestione comunale. Compagnie disposte a proporsi e consorziarsi

IMG_1044

Teatro Fusco. Progetto Esecutivo di Studio Start. Immagine con fossa orchestrale aperta.

Una proposta di gestione del Teatro Fusco sarà redatta in un incontro tra compagnie teatrali ed associazioni culturali tarantine. Ieri mattina, nel foyer del Teatro Orfeo, uno dei proprietari, Adriano Di Giorgio, delegato provinciale di Agis ed Anec e con un incarico nella Commissione Pubblico Spettacolo alla Provincia di Taranto, ha lanciato un appello ad unirsi ed insieme a Lino Conte, difronte ad un primo gruppo di interessati, ha chiesto chiarezza su una struttura pubblica costata parecchi soldi. I lavori al cantiere teatrale dovrebbero fine entro la primavera, tra maggio e giugno, e sulle forme di gestione non ci sarebbe certezza. Si pensa ad una gestione diretta, ad una gestione indiretta con forme di esternalizzazione privata, ad un affidamento diretto ad enti pubblici o ad un bando pubblico? L’assessore comunale alla Cultura, Franco Sebastio, avrebbe ipotizzato due strade, o la gestione indiretta con esterni in affiancamento o una gara di evidenza pubblica. Tuttavia, in questa fase di incertezza, gli operatori teatrali privati potrebbero decidere di consorziarsi: «Il Comune di Taranto – spiega Adriano Di Giorgio – potrebbe gestire direttamente il Teatro Fusco, due anni, con l’affiancamento di un operatore esterno, o indire un bando di gara. L’operatore esterno dovrebbe essere nominato direttamente. Noi abbiamo chiesto di presentare una nostra proposta e farci portavoce di tutte le realtà locali di Taranto, affinché possa diventare davvero la casa delle compagnie tarantine e non una struttura manager di se stessa o un’altra cattedrale nel deserto. Pensiamo ad un canone agevolato a favore di tutte le compagnie locali – precisa – non dobbiamo trovarci davanti al fatto compiuto di un’assegnazione diretta. In tanti anni – ha continuato – non abbiamo mai avuto un contributo pubblico, né a favore di nostre stagioni, né a favore di altri operatori. Il Comune deve dare la possibilità di assegnare fondi pubblici alle compagnie locali. Noi abbiamo unito 5 teatri di Puglia e non siamo nemmeno tra i primi 100 nella graduatoria in bandi regionali. Non abbiamo avuto i punteggi minimi, non capiamo il motivo. Ci vuole un controllore sui contributi».

3176b1af-ac4f-4d50-a79c-a711b69beeeb

Conferenza stampa sulla proposta di gestione del Teatro Fusco. Nel foyer del Teatro Orfeo di Taranto.

Il Teatro Pubblico Pugliese, si spiegava agli intervenuti, ha comunicato in ogni caso l’intenzione di organizzare le stagioni di prosa al Teatro Orfeo, più capiente (747 posti), ed al Teatro Fusco (477 con la fossa orchestrale chiusa e 417 con la fossa orchestrale aperta e sollevata) e, conseguentemente, non più al TaTÀ, e la stessa amministrazione comunale confida di inaugurare la stagione di prosa al Teatro Fusco. I tempi stringono, dunque, e le domande sugli effettivi gestori sono ancora tante: «Perché non potremmo tornare a metterci insieme? Nell’81 – ricorda Lino Conte – fondammo l’associazione “Taranto Teatro” e rappresentavamo tutti, spesso con il critico Gianni Amodio. Pretendiamo rispetto. Crediamo sia giunto il momento di tornare a discutere. Al Tarentum, al Turoldo, ci siamo tutti. Perché non finalizziamo l’unione? Non dovremo accettare una gestione non tarantina di un teatro comunale. Dovrebbero darci la possibilità di organizzare laboratori teatrali». Hanno ascoltato e o borbottato in parecchi e, tra gli altri, Netty Russo ha suggerito di nominare un portavoce ufficiale unico e Gianfranco Carriglio, direttore della compagnia teatrale “La Rotaia”, ha chiesto chiarimenti su eventuali gestioni comunali dirette: «Ci sarà un regolamento di accesso, essendo una struttura pubblica? Feci questa osservazione quando fu affidato il TatÀ ai Tamburi (proprietà pubblica provinciale, ndc). Mi considerarono il nemico ed il TatÀ continua a non essere gestito a livello pubblico. Questo è il discorso nei teatri pubblici. Il Comune si deve incaricare di fare un regolamento di accesso».

P.S: Miei testi pubblicati su Nuovo Quotidiano di Puglia, il 30 gennaio 2018, erroneamente attribuiti ad altra collega. 

“Corners” in continua ricerca: gli artisti europei si imbattono negli Yarákä Ensamble tra i vicoli di Taranto


IMG_7292

Chiusura ufficiale di Corners dopo sette anni, a Palazzo Pantaleo, a Taranto.

Raccontare ottimismo, reazione, rinascita, voglia di cambiare, è un atto di resistenza. In questo mondo, la velocità fagocita tutto e non apprezza la lentezza di riflessioni, ragionamenti, analisi, alla ricerca di armonia. L’incontro con una delegazione di 71 artisti di “Corners” mi suscita queste riflessioni. In sette anni, hanno esplorato gli angoli in penombra di Europa e sono tornati alla nave madre, Taranto, il 18 novembre, fonte di ispirazione tre anni fa, a concludere le loro ricerche socio culturali in Puglia, a Bari, Mola di Bari e Brindisi e dintorni. Sono state 8 le loro “xpeditions”, internazionali, un neologismo legato all’incognita di potenziali inimmaginabili. Sono andati a scovare le periferie affascinanti e ricche di contrasti di 12 paesi: Bosnia Erzegovina; Bulgaria; Croazia; Georgia; Italia; Polonia; Serbia; Slovenia; Spagna/Paesi Baschi; Svezia; Ucraina; Regno Unito/Inghilterra e Irlanda del Nord. Sono stati in luoghi senza riflettori, dove hanno trovato forza di volontà, resistenza, voglia di reazione, rinascita e reinvenzione di una narrazione post industriale. Hanno incontrato i cittadini con lo spirito di pellegrini e faranno circolare spunti e sensazioni. Il primo raccolto sono 17 “Corners co-creations”, iniziative nate nei loro giri e proposte alle popolazioni in almeno 11 eventi internazionali. Ognuno ha mosso i primi passi in un’entità culturale fondatrice di questa piattaforma: Intercult di Stoccolma in Svezia; Exodus di Ljiubiana in Slovenia; Pagon di Zagreb e Drugo More di Rijeka in Croazia; Instytut Kultury Miejskies di Gdansk in Polonia; Isis Arts di New Castle Upon Tyne in Regno Unito; Fondacija Fond B92 di Belgrado in Serbia; Fomento De San Sebastian, Donostia San Sebastian in Spagna; Teatro Pubblico Pugliese di Bari, unico partner italiano; Art Council of Nothern Ireland a Belfast, in Regno Unito. La Commissione Europea ha investito metà di 2 milioni e 700.000 euro e saranno realizzati un rapporto finale ed un documentario. Nella piattaforma, www.cornersofeurope.org, si trovano gli aggiornamenti. A Palazzo Pantaleo, nella città vecchia, il direttore artistico, Chris Torch, fondatore di Intercult, ha spiegato le sue motivazioni, dopo una passeggiata artistica alla discesa Vasto, in via Garibaldi, vico San Gaetano, via Cava, Salita San Martino, in vicoli e postierle diventati famigliari grazie a Crest e Giovanni Guarino. Ho raccolto le sue dichiarazioni durante una conferenza stampa: «Taranto è unsimbolo di questa sfida. La forza umana di sopravvivere è incredibile. Tre progetti sono nati in questa città. I creativi hanno visto il luogo, hanno sentito le storie e le hanno raccontate a Belfast, Stoccolma, San Sebastian, ovunque. Abbiamo trovato resistenza, speranza, reinvenzione». “Windows”, di Valeria Simone (di Ruvo di Puglia), Asier Zabaleta e Michael Hanna, coproduzione di Tpp (Teatro Pubblico Pugliese) e Donostia San Sebastiàn ed Arts of Council of Northern Ireland, è stato creato nel centro storico di Taranto: «Lo spettacolo inizia con un video su anziani intervistati in città vecchia. Sarà proiettato in Romania, a Timisoara, capitale della Cultura 2020/21, il prossimo anno». In una prospettiva di conoscenza e scambi, alcuni di loro si aggiravano in larghi e vicoli ed hanno avuto la fortuna di ascoltare il concerto degli Yarákä Ensemble, giovane formazione, ricca di talento, specializzata in un repertorio di musica etnica e popolare riarrangiata.  

L’idea di Corners venne ad Istanbul, in Turchia, su un’area geografica tra 4 mari: «Non è la creazione di spettacoli o mostre lo scopo, è un processo di partecipazione. Qui, abbiamo imparato moltissimo. Sarà una catena di esperienze tra un posto e l’altro. Creeremo “storytellers” (narratori, cantastorie). Le piccole storie, insieme, faranno una grande storia». In questa specie di pellegrinaggio socio culturale o gran tour settecentesco, hanno imparato qualcosa: «Il bisogno di cultura è più forte rispetto alle strutture culturali esistenti. Le persone danzano, cantano, creano. Il Tpp ha mostrato coraggio. I risultati potrebbero arrivare fra 20 anni. Abbiamo voglia di cambiare profondamente la mentalità europea, ricreare mobilità di idee». In fondo, è una semina e si punta in prospettiva a costruire le radici di un turismo culturale. La tarantina, Isabella Mongelli, ha lavorato proprio in questa direzione ed ha co-progettato il “Safari Here”, testato in altre città europee, insieme a Miloš Tomić di Belgrado e Maria Anastassiou di Londra, co-produzione di Isis Arts, Teatro Pubblico Pugliese e B92 Rex: «È un lavoro sulla ri-narrazione, attraverso un punto di vista turistico. Volevamo consentire agli abitanti di vedere i loro luoghi quotidiani in un modo nuovo – mi spiegava – un punto di partenza di una nuova percezione». Le possibilità di espressione e coinvolgimento sono infinite, perché sono i contesti ad ispirare. Allora, a Nedyalko Delchev di Sofia è venuto in mente di costruire con i bambini una galleria colorata destinata agli uccelli nei boschi, insieme a Maciej Salamon, di Gdańsk (Danzica), in coproduzione con Intercult e City Culture Institute. Il presidente del Teatro Pubblico Pugliese, Carmelo Grassi, ha creduto in questa opportunità di conoscenza e si è impegnato a far uscire fuori la parte migliore di Taranto, perché la considera una città bisognosa di cultura e capace di esprimersi di più, nonostante i suoi contrasti. L’assessore comunale alla Cultura e Legalità, Franco Sebastio, a volte, sembra rincuorato quando si possono sostenere queste attività ed offrire occasioni al territorio. Quando faceva un altro mestiere, il procuratore della Repubblica, doveva necessariamente denunciare senza esitazioni e senza retromarce i problemi ambientali e l’avvelenamento doloso. Adesso, a qualcun altro spetta di continuare il suo vecchio lavoro. A lui, il destino sta probabilmente riservando il compito di far sorridere i tarantini, la missione più ardita di questa epoca. 

“Terra Magica”: stupisce i bimbi, commuove gli adulti, evoca Margaritella e Mago Greguro in masseria

Vi faccio una confessione. Alla prima di “Terra Magica”, il 9 settembre alla Masseria Canonico sulla strada provinciale 42, km 2, tra Massafra e Crispiano, mi sono commossa. È capitato in un momento preciso, quando Cosima (Valeria Cimaglia), giovane discendente di massari, decideva di prendere la valigia ed andare via e salutava la zia Anna (Marina Lupo). Il futuro ed un malinconico e nostalgico presente si salutavano e prendevano direzioni diverse. L’una prometteva di tornare un giorno ad assaggiare il pane profumato e l’altra avrebbe seguito il suo destino, insieme agli altri contadini, nella terra delle gravine. Quando Cosima ha preso la valigia ed ha lasciato la masseria, una bimba si è alzata, si è voltata ed ha esclamato: “Parte davvero, va via?”. L’incanto di questa “Fiaba Rupestre” di Barbara Gizzi si era compiuto.

La giornata è stata tutta una sfida, iniziata con un sogno caparbio di Massimo Cimaglia, ideatore e regista, provato e con il cuore in gola, alla fine di questa suggestione poetica, sognata e realizzata. Ha lasciato Taranto e la terra jonica tanto tempo fa ed ha sempre cercato di sostenerla, farla rinascere, senza mai rinunciarci. Si possono ed a volte devono scegliere strade diverse. La voglia di tornare e vivere tra le radici non ci abbandona mai e questo è davvero un caso emblematico, trasmesso alla famiglia ed ai suoi affetti .

Se la strega Margaritella, detta Marangella, (Debora Boccuni) ha fatto la magia giusta, sarà soltanto la prima di tante edizioni. Nel cast, figuravano: Simona Cucci (Addolorata); Antonello Conte (Pietro); Giuseppe Colucci (Carmelo); Stefania Infantini (Maria); Claudia Cimaglia (Lucia); Simone Carrino alle percussioni; Bruno Galeone alla fisarmonica.

Le aspettative sono state confermate e superate. 

IMG_20170910_0001

Nuovo Quotidiano di Puglia, 7 settembre 2017, Taranto

 

I mari greci chiedevano aiuto, sulle rive di Chiatona, in “Dune, sentieri possibili”

Provo a fissare nella mente le sensazioni di un’esperienza teatrale itinerante, tra le ceneri nostalgiche di un vecchio bosco incendiato e la spiaggia, nel versante jonico occidentale, in rotte oniriche sui mari greci, a Chiatona, frazione di Massafra, in provincia di Taranto. “Dune, sentieri possibili”, di Clessidra Teatro e Teatro le Forche, in collaborazione con Reset, regia di Gianluigi Gherzi, ha proposto ai suoi spettatori cinque giornate di riflessione su bellezza, scarto, rifiuti, luoghi abbandonati maltrattati, potere salvifico, rigenerante, liberatorio, di radici e valori magnogreci antichi. Quando siamo arrivati, in via Amerigo Vespucci, l’8 agosto sera, siamo stati divisi in gruppi, nei dintorni di residenze teatrali di residenti, dove in questi giorni sono stati ospitati il Clessidra Lab e gli attori.

IMG_1775

Hanno chiesto di non fumare e non scattare foto con gli smartphone. Io non fumo, però ho sofferto a non documentare ogni momento dei sentieri possibili e non ho completamente compreso il divieto. Qualcuno diceva “si, falle senza flash”, qualcun altro “non farle”, ed allora ho smesso :-).

 

Le guide illuminavano i quadri scenici viventi sui mari, con nomi greci antichi, ed i maltrattamenti di inquinamento ed insensibilità, subiti nel tempo. In un caso, è stato rievocato il viaggio di Pierpaolo Pasolini tra Reggio Calabria e Taranto. Ogni mare greco consegnava ad uno spettatore un bigliettino con sopra scritto il suo nome in greco antico ed alla fine tutti hanno esortato ad innalzare questa specie di messaggi nella bottiglia vicino ad una vecchia barca. Via mare, sono arrivati, nel finale, due camerieri, con un vassoio speciale ed un’ode, intitolata, “Arrivederci fratello mare”: Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti, arrivederci fratello mare, mi porto un po’ della tua ghiaia, un po’ del tuo sale azzurro, un po’ della tua infinità ed un pochino della tua luce e della tua felicità. Ci hai saputo dire molte cose sul tuo destino di mare, eccoci con un po’ di speranza, eccoci con un po’ di saggezza, e ce ne andiamo come siamo venuti, arrivederci fratello mare. I mari, esortavano gli spettatori a chiudere gli occhi, sentire la brezza, le onde, riappacificarsi con il mondo e la concentrazione era davvero difficile vicino ad uno stabilimento balneare in attività con musica italiana ad alto volume, involontario contrasto tra realtà e sogno, tra le dune. Ogni giorno, hanno finito tutti gli spettacoli tuffandosi tutti insieme e ritornando nel Mediterraneo, il mare sognato.

IMG_1802

 

Nel cast, c’erano: Michele Bramo, Giorgio Consoli, Daniela Delle Grottaglie, Alessandra Gigante, Erika Grillo (sua l’idea progettuale), Cesare G.Pastore, Ermelinda Nasuto, Chiara Petillo, Fabio Zullino. Nel cast tecnico: Giancarlo Luce, Tommaso Franchin, Walter Pulpito, Raffaele Giovinazzi, Vincenzo Di Pierro, Mino Notaristefano.

IMG_1797

Il video promo di Alessandro Colazzo vi aiuterà ad immaginare lo spettacolo onirico rappresentato al tramonto, di notte, all’alba.

#LaTarantomigliore, proposta e denuncia sulle sponde di Taras. Le due anime unite cambierebbero le cose

In questo blog, ho raccontato gli anni di Taranto e lo spartiacque del 2012, definitivo nella mia vita personale e sociale. Ho passato questi anni nelle strade ed ho conosciuto tanti “pazzi sognatori”, con un ruolo determinante in questa fase cruciale. Ognuno aveva un suo scopo e meritava rispetto. La campagna elettorale ha spaccato questo fronte, unico a volte consapevolmente altre casualmente ed inconsciamente, ed ha prodotto dibattiti mortificanti, di pessimo gusto, tra persone insospettabili di tanto livore. Un osservatore terzo ha il privilegio di provare a capire tante anime. La buona volontà si trova tra le associazioni, tra chi diffonde la cultura della legalità, chi lavora sulle radici magnogreche e spartane, chi dialoga con i migranti, chi si impegna nelle energie rinnovabili e nella prevenzione di malattie cancerogene, chi fa fitorimediazione ed inventa nuovo lavoro, chi rispetta ambiente ed ecosistemi, chi difende il suo Paese in un periodo storico delicato, chi si batte contro le derive inquinanti e le leggi contrarie alla Costituzione, chi porta avanti le tradizioni, chi non molla, chi cade e si rialza, chi non rinuncia a cercare la sua ragione di vita. Il bene si trova nei cuori di tanti. Tempo fa’, coniammo la definizione #LaTarantomigliore, quando i tarantini furono capaci di umanità ed organizzazione negli aiuti ai profughi salvati grazie alla missione Mare Nostrum della Marina Militare. Da allora, ho cercato la linfa più umana e morale in tanti percorsi. La strada giusta, a mio avviso, di qualunque cammino, culturale innanzitutto, deve riuscire a far parlare tutte queste coscienze, ad apprezzare il loro potenziale e valore. Questa utopia, sfumata e sfuggente, mi ispirerà in futuro e cercherò di non far spegnere questa fiamma e metafora di rinascita. Io sto con questo spirito e con chi lo rispetta.  Ho scelto due immagini. Una rappresenta il fermento culturale sulle radici e la fondazione di Taranto nel 706 a.C., l’altra un corteo, di alcuni anni fa’, dove spunta un cartello, “Resisti Taras”, a testimoniare l’unione di visioni e percorsi di reazione civile e narrativa. Infine, voglio ricordarvi il primo video clip degli artisti uniti per Taranto ed il loro brano “Taranto Libera”. Io c’ero, ho vissuto tutto. Questi cuori erano uniti, oggi fanno la loro vita, ognuno a modo suo, e continuo a credere in tutti i loro, nei differenti cammini esistenziali. Il significato di questo brano si racchiude nella visione di una città con economie diversificate, orgogliosa di storia e radici. Il resto, è tutto nel mio blog con le sue storie di “sblocchers”.

img_5184

Sequenza dello Sbarco di Falanto, idea di Massimo Cimaglia, nella baia di Saturo, dove arrivarono i fondatori di Taras, la città spartana.